A quasi un anno di distanza dalla prima stagione, Netflix lancia i nuovi episodi delle avventure di Daredevil. La fonte d’ispirazione sono sempre le storie a fumetti realizzate da Frank Miller per la Marvel nei primi anni ’80, mentre i nuovi showrunner Doug Petrie e Marco Ramirez cercano di riproporre i toni seri e adulti e le cupe atmosfere urbane del loro predecessore Steven S. DeKnight; riuscendo nell’impresa, però, solo in parte.

Orfana di una nemesi formidabile come Wilson Fisk (la cui rivalità con Matt Murdock era il fulcro della saga precedente), questa nuova stagione vede l’entrata in scena di due iconici co-protagonisti, Frank Castle alias Punisher e Elektra, ognuno dei quali mette in discussione dal proprio punto di vista gli ideali e i metodi usati da Matt nella sua crociata contro il crimine; è proprio sulla destrutturazione del personaggio eponimo che si sviluppa infatti la trama, ma con esiti squilibrati. Se nel caso di Punisher – vigilante psicopatico che incarna la degenerazione ossessiva e sanguinaria dello stesso Daredevil – il risultato è ottimo, grazie anche alla grande interpretazione di Jon Bernthal, che ne sottolinea alla perfezione la ferocia ma anche l’umanissima sofferenza interiore, al contrario delude Elektra – ninja sexy che dovrebbe rappresentare nei confronti di Matt il fascino del “lato oscuro”, della libertà di dare sfogo alle pulsioni di sesso e morte – un po’ per colpa della caratterizzazione incoerente, un po’ per la limitatezza recitativa di Elodie Yung. Le due storyline risultano di qualità opposta – appassionante quella di Punisher, malgrado l’invadenza di una Karen Page sempre più petulante; molto confusa e macchinosa nella sua deriva mistica quella di Elektra, solo in parte sollevata dalla presenza del carismatico Scott Glenn nel ruolo di Stick – e sembrano procedere con una separazione troppo netta, denotando la debolezza globale della sceneggiatura e riducendo il solo legame allo stesso Daredevil; il quale, a sua volta, si dimostra la vera delusione della serie, risultando inconcludente più che tormentato e a tratti insopportabile nel suo ottuso e insistito moralismo.

Sul piano della regia, si alza il tasso di violenza (con sequenze di tortura abbastanza splatter oltre al numero esagerato di cadaveri seminati da Frank), e se è pur vero che non mancano dimostrazioni di stile (come il lunghissimo combattimento giù per le scale fra Daredevil e una gang di motociclisti, interamente girato in piano sequenza) né si perde il gusto della citazione (il memorabile dibattito morale fra Punisher e Daredevil legato è tratto dalla saga Bentornato, Frank!), si ha l’impressione che si tratti di casi isolati, mentre il quadro generale (compresi i combattimenti, alla lunga ripetitivi, e i flashback sparsi qua e là) punta più sulla quantità che sulla qualità, più sull’accumulo di situazioni che su una vera consapevolezza d’insieme. E basta l’apparizione di un noto villain (protagonista di un folgorante confronto con Frank in carcere) per ricordarci quanto, inevitabilmente, se ne senta la mancanza.

Davide V.Giacomo B.
67