Elysium è il film che segna l’esordio hollywoodiano di Neill Blomkamp, talentuoso regista sudafricano che aveva messo d’accordo pubblico e critica con il sorprendente District 9 (2009). Qui l’autore ritorna a calcare i sentieri della fantascienza post-apocalittica, mostrandoci un’umanità dell’anno 2154 divisa in due categorie: i pochi eletti che vivono da nababbi sulla piattaforma spaziale di lusso che dà il titolo al film, e la maggioranza rimasta sulla Terra, ormai devastata da povertà, inquinamento e malattie. Il protagonista della vicenda, impersonato da Matt Damon, si lancia in una rischiosissima quanto disperata impresa che dovrebbe offrire un futuro anche ai disgraziati come lui.

Temi e iconografia non sono certo nuovi nel panorama sci-fi contemporaneo (il divario esagerato fra le classi sociali, con la salute umana ridotta a bene disponibile, ricorda In Time; il desolato scenario terrestre richiama le bidonville di Johannesburg in cui era ambientato District 9), eppure Elysium si lascia guardare grazie alle valide capacità di narratore di Blomkamp, che rende interessante una vicenda semplice e, a dire la verità, non proprio originale, puntando su un buon ritmo e su sequenze d’azione piuttosto sobrie, con un uso moderato degli effetti digitali.

Una concezione di fantascienza adulta, dunque, che si rifà agli anni Settanta, e che sollecita la coscienza dello spettatore con chiari intenti di denuncia sociale (in questo caso, contro le disuguaglianze del sistema sanitario privato), ma senza risultare pesante o retorico. Inoltre, riprendendo un discorso già iniziato nel film precedente, la maturazione del protagonista – da perfetto ingranaggio del sistema a rotella impazzita pronta a farlo saltare – passa attraverso il progressivo disfacimento del corpo, via via sempre più martoriato, secondo uno schema che richiama l’estetica cyberpunk, da Tetsuo di Tsukamoto (ma senza gli eccessi orrorifici) a Johnny Mnemonic (per l’uso del cervello umano come banca dati).

Purtroppo, quello che manca veramente in questo film è il coinvolgimento emotivo, a causa più che altro di una caratterizzazione non eccelsa, con personaggi un po’ piatti o poco approfonditi (soprattutto nel caso del ministro della difesa impersonato da Jodie Foster, troppo legato allo stereotipo del politico cinico e ambizioso), nei quali non è facile immedesimarsi. Fa eccezione lo spassoso villain interpretato da Sharlto Copley (già protagonista di District 9), che ruba la scena a un imbambolato Matt Damon con una prova di assoluto istrionismo.

In sintesi, un film discreto, dai nobili intenti e dalla resa più che dignitosa, ma privo della forza dirompente e della genialità del suo predecessore.

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Antonio M.Edoardo P.Giacomo B.Leonardo L.Sara M.
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