Sviluppata per Netflix da Drew Goddard e Steven S. DeKnight, la prima stagione di Daredevil ha convinto tutti, facendo da testa di ponte a una nuova ondata di serie Marvel dedicate agli eroi da strada e destinate a confluire nel crossover Defenders. Daredevil si ispira all’omonimo personaggio dei fumetti creato da Stan Lee, e in particolare al ciclo realizzato fra il 1979 e il 1983 da Frank Miller, di cui riprende i toni cupi, la profondità delle caratterizzazioni e alcuni spunti narrativi. Ciò che ne risulta è una serie lontana dalla guasconeria un po’ superficiale del Marvel Cinematic Universe, nella quale l’elemento supereroico è messo in secondo piano rispetto a quello prettamente noir.

Matt Murdock (interpretato da Charlie Cox) è un avvocato, è cieco (in seguito a un incidente che ne ha amplificato a dismisura gli altri quattro sensi), eppure vede meglio di tutti che la giustizia non si esaurisce nelle aule di tribunale, per questo di notte combatte il crimine nei panni dell’uomo con la maschera. E’ anche profondamente cattolico, ma crede che la sola strada per esorcizzare il diavolo che minaccia il quartiere di Hell’s Kitchen sia assumerne le sembianze e affrontarlo faccia a faccia. Sua nemesi è Wilson Fisk (uno straordinario, magnetico Vincent D’Onofrio), boss crudele e ambizioso ma non privo di umane debolezze – specie nella gestione della rabbia – che crede di salvare il quartiere divenendone il signore incontrastato, nascondendo i suoi delitti dietro a un’immagine di compassionevole filantropo. Il duello a più riprese, non solo fisico, fra i due – personaggi agli antipodi, ma in un certo senso simili nel perseguire la propria missione indossando maschere – è il fulcro della vicenda ed è un esempio di grande scrittura seriale.

Pur ruotando intorno ai due protagonisti, Daredevil è popolata di personaggi sfaccettati, maschili e femminili, che riproducono, migliorandole, le controparti fumettistiche (fra i più riusciti, il Ben Urich di Vondie Curtis-Hall e la Karen Page di Deborah Ann Woll), e che agiscono fuori dai cliché seppur dentro i rispettivi allineamenti morali. Loro palcoscenico è una città davvero infernale, dove dominano la corruzione e l’intimidazione e si respira costantemente un’atmosfera di pericolo e di pessimismo.

Quasi del tutto priva di umorismo, ma ricca di citazioni dell’opera di Miller (il costume nero è preso dalla saga L’uomo senza paura), la serie si attesta su livelli registici altissimi, con piani sequenza da pelle d’oca, una fotografia livida e dai colori desaturati, scene d’azione in numero contenuto ma di grande inventiva e combattimenti molto più violenti e realistici della media. Ogni episodio è un gioiellino a sé stante, pur rimanendo ben legato alla trama principale grazie a un uso intelligente del cliffhanger, e l’alternanza di piani temporali tra i flashback e la narrazione principale è gestita perfettamente. Una colonna sonora a tema, ma mai troppo invadente, e l’ottima prova dell’intero cast – con guest star del calibro di Scott Glenn, nei panni del mentore Stick – completano un quadro d’insieme per palati fini, che lascia ben sperare per le stagioni successive.

Davide V.Chiara C.Giacomo B.
8 1/28 1/28 1/2