G.I. Joe – La vendetta: la recensione
G.I. Joe – La vendetta, film con Dwayne Johnson nelle vesti di protagonista e Jon M. Chu in quelle di regista, vede la squadra dei Joe accusata di crimini contro gli Stati Uniti, e terminata per ordine dello stesso Presidente. I membri sopravvissuti dovranno lottare con tutte le loro forze contro l’organizzazione terroristica Cobra, che mira al controllo totale degli armamenti nel mondo.
Seconda avventura cinematografica in live action dei personaggi ispirati alla linea di action figures di culto, G.I. Joe – La vendetta è un sequel mediocre, rozzo e confusionario, privo di quella professionalità che aveva reso gradevole G.I. Joe – La nascita dei Cobra. Colpa, innanzitutto, della scelta, in cabina di regia, del giovane Jon M. Chu, che aveva già fatto parlare di sé come autore degli ultimi titoli della demenziale (involontariamente) saga danzereccia di Step Up. E come nell’ultimo di questi filmettini, anche qui Chu sembra interessato soltanto ai virtuosismi visivi offerti dalla tecnologia 3D, fra sparatorie in slow motion, esplosioni apocalittiche e salti impossibili, a discapito di tutto il resto. Intendiamoci, in alcune sequenze d’azione il 3D offre davvero qualcosa di buono (il combattimento fra i ninja appesi ai cavi nel mezzo di una catena montuosa è notevole), ma è un po’ poco per salvare un film che soffre di un impianto narrativo veramente debole e carente, in special modo nei primi, orribili venti minuti, in cui, dopo un breve riassunto dei fatti avvenuti nel primo capitolo, si viene gettati immediatamente nel pieno dell’azione, con la sgradevole sensazione di essere entrati in sala a spettacolo già iniziato.
Il maggior difetto di questo film risiede però nella sciagurata scelta di mantenere soltanto alcuni dei personaggi del prototipo, eliminandone altri, ma senza un vero criterio, se non la contingenza: mentre acquistano maggiore spazio i due ninja Snake Eyes e Storm Shadow (Ray Park e Byung-Hun Lee), sulla cui rivalità viene messo in luce qualche dettaglio in più, allo stesso tempo si sente la mancanza di una primadonna forte come la Baronessa (a causa del forfait della sua interprete Sienna Miller) o di avversari di un certo spessore come Destro o Cobra Commander; quest’ultimo, in realtà, presente nel sequel, ma in un ruolo secondario e interpretato da un attore insulso, privo del talento del suo predecessore Joseph Gordon-Levitt. E il ripescaggio, all’ultimo minuto, del protagonista del primo film, Duke (un Channing Tatum fisicamente davvero fuori forma), suona soltanto come una meschina operazione commerciale finalizzata a sfruttare il successo dell’attore, divenuto famoso a riprese quasi ultimate con Magic Mike: peccato che il suo ruolo sia attaccato con lo sputo al resto della vicenda, e che non ci sia traccia della sua travolgente storia, alla base del primo capitolo, con la Baronessa.
Viene dunque da sé che la caratterizzazione dei personaggi nuovi sia, in linea con il resto, poco approfondita o improntata alla caricatura: Dwayne Johnson, etnicamente fuori parte come Roadblock, è simpatico, ma non esce dallo stereotipo del nero che scopre la sua vocazione militare dopo una giovinezza difficile nel ghetto; stesso discorso vale per la stupenda Adrianne Palicki nel ruolo di Lady Jaye, ennesima Soldato Jane segnata dal maschilismo dell’ambiente, mentre risulta del tutto insulso il Flint interpretato da D.J. Cotrona. Appena abbozzati i personaggi della giovane Jinx (Elodie Yung) e del Maestro Cieco (impersonato in maniera convincente dal rapper RZA), che vanno ad arricchire le fila del clan ninja Arashikage. Sul fronte nemico, la new entry è il sadico bombarolo Firefly, un Ray Stevenson eccessivo e sprecato, mentre il falso Presidente con il volto soave di Jonathan Pryce regala qualche sorriso nel suo delirio di megalomania di fronte ai leader del G8, in una sequenza che strizza l’occhio al Dottor Stranamore. Poco incisiva, infine, la partecipazione di un Bruce Willis visibilmente divertito che, nella parte del G.I. Joe originale, replica, senza aggiungere nulla, il personaggio del veterano costretto a tornare in azione già visto in RED e nella saga dei Mercenari.
In sintesi, un blockbuster convenzionale e trascurabilissimo, poco interessante anche per gli appassionati della saga, trionfo dell’estetica da multisala di periferia del suo regista. Se è vero, come lui stesso ha dichiarato, che gli sarà affidata anche la nuova trasposizione cinematografica di un’altra serie di action figures ancora più mitica, i Masters of the Universe, meglio tenersi stretta la versione camp del 1987 con Dolph Lundgren.
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