La terza puntata della seconda stagione mette in scena in modo sempre più esplicito e inequivocabile l’idea di fondo dei primi due episodi e in generale del macrocosmo di Game of Thrones. “What is dead may never die” ci mostra infatti che tutto scorre, tutto muta, tutto si scompone e si ricompone riconfigurando persino gli equilibri apparentemente più saldi. Anche i nostalgici del buon Ned Stark, irremovibilmente ancorato a un (fatale) senso d’integrità, si trovano quindi costretti a prendere atto di un panta rei perpetuo e soggetto all’azione di molteplici forze contrastanti che rendono impossibile riunire le redini dei sette regni in una sola mano.

Posare le terga sull’ambito Trono di Spade non è più questione di legittimo diritto (se mai così è stato), ma di fortuna nel pescare le carte giuste e di abilità tattica nel ricombinare queste ultime sul tavolo da gioco, come in una colossale sfida alla variante del ramino nota come Machiavelli. Questo episodio si concentra in particolare sulle sottopartite che si svolgono all’accampamento di Renly Baratheon, al castello dei Greyjoy sulle Isole di Ferro e naturalmente ad Approdo del Re, bisca per eccellenza.

La prima ambientazione ci permette di studiare meglio l’allitterante Re Renly, ma soprattutto i personaggi femminili che lo circondano. L’orientamento sessuale del sovrano e la sue ambizioni di potere miste a un ottimismo quasi ingenuo, già esplicitati in precedenza, trovano ampia conferma in queste scena, ma sono soprattutto le donne a dare spessore all’intera sequenza. L’altissima guerriera Brienne di Tarth, new entry che sconfigge Ser Loras nel torneo e ottiene un posto nella guardia personale del re; la sagace e coraggiosa Lady Catelyn Stark, inviata dal figlio Robb, Re del Nord, a chiedere l’alleanza di Renly; ma soprattutto la regina Margaery Tyrell, moglie di Renly e sorella di Loras, che con impeccabile pragmatismo inserisce la propria carta fra fante e re suggerendo una combinazione letteralmente prolifica.

Sulle Isole di Ferro intanto continua il confronto fra Balon Greyjoy, la figlia prediletta Yara (a capo dell’esercito) e il nostro Theon, che, dopo aver vissuto per tanti anni come ostaggio presso gli Stark (che però considera come una sorta di seconda famiglia) viene ora umiliato e messo a dura prova dai suoi stessi consanguinei. Costretto a scegliere fra la famiglia d’origine e quella che l’ha cresciuto, Theon (un Alfie Allen che rende magistralmente il conflitto interiore) finisce per rimescolare nuovamente le carte in una meravigliosa scena che è sia metafora, sia effettiva messa in atto della sua decisione, poi suggellata dal battesimo nel nome del Dio Abissale (da cui l’invocazione che dà il titolo all’episodio).

Il mago del tavolo da gioco però resta sempre l’inarrivabile Tyrion, che dimostra di saper mettere in scacco Approdo del Re. Mentre Cersei è impegnata a tormentare la povera Sansa, il Folletto escogita un astuto piano per scoprire chi sia la spia della sorella fra Pycelle, Varys e Ditocorto. La sua storyline ci regala non solo i momenti di maggiore ilarità, ma anche una nuova riflessione sul potere per bocca del saggio Varys: “Power resides where men believe it resides. It’s a trick, a shadow on the wall, and a very small man can cast a very large shadow”.

E le ombre infatti sono le vere protagoniste silenziose di quest’episodio: anche se l’inverno in arrivo sembra ancora una minaccia lontana (sono tredici episodi che se ne parla e il clima non è ancora veramente cambiato), in realtà la regia (qui di Alik Sakharov) e la fotografia stanno già preparandone l’avvento, “accorciando le giornate” e puntando su scene notturne o di interni a lume di candela, come quelle iniziali in cui i Guardiani della Notte vengono scacciati da Craster per colpa di Jon e in cui Brandon racconta a Luwin dei propri sogni da lupo. La scena notturna più incisiva resta però quella finale all’accampamento di Yoren e delle reclute, dove giungono gli uomini di Joffrey in cerca di Gendry (l’ultimo dei figli bastardi del defunto Re Robert). L’oscurità marcata fa risaltare ulteriormente i particolari più significativi: il sangue di Yoren sulla spada che lo trafigge, i prigionieri sul carretto di fianco al fuoco e l’espressione risoluta di Arya, che salva la situazione con uno stratagemma non inedito (ricorda ad esempio Schindler’s List), ma perfetto per mostrare la rapidità con cui sta crescendo la piccola Stark.

Nell’episodio non trova spazio la storyline di Daenerys, ma c’è da scommettere che i suoi draghi fiammeggeranno ancor meglio nella notte sempre più buia, quando, come diceva la Vecchia Nan nella prima stagione, “the sun hides for years, and children are born and live and die all in darkness”.

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