Game of Thrones 2×05 – 2×06: la recensione
Game of Thrones: in questa seconda stagione la narrazione è esplosa, disseminata per tutti i Sette Regni, al seguito di Re che spuntano come funghi e accampano pretese sul Trono di Spade; o si accontentano di altri troni lontani dal covo di serpi intorno a King’s Landing, come Robb Stark.
In “The Ghost Of Harrenhal”, non si fa attendere l’epilogo dell’inquietante finale di “Garden Of Bones”: mentre Catelyn si trova al cospetto di Renly nell’atto di negoziare una pace possibile tra lui e il Giovane Lupo, l’ombra partorita da Melisandre (finalmente nominata in questo episodio) va ad uccidere Renly, di fronte all’impotenza e allo sgomento di Lady Stark e Brienne. L’unica soluzione è la fuga, perché l’ombra si è dissolta così come è apparsa, e la colpa dell’assassinio ricadrà certamente sulle due donne. La fuga e lo spaesamento hanno il merito di unire queste ultime e di accrescerne il rispetto reciproco: in una delle scene più commoventi, Brienne si “dona” a Lady Stark, dichiarando imperitura fedeltà alla sua nuova signora.
Un’altra donna, tutt’altro che ingenua, ha trovato in Baelish un degno compagno di intrighi: Lady Margaery Tyrell sembra intenzionata a non portare il lutto molto a lungo, e a voler arrivare anche lei molto vicina al Trono di Spade, attraverso vie tutte nuove.
La notizia della morte di Renly è accolta con irresponsabile gioia da Cersei, che in questa stagione sembra proprio aver perso il senso complessivo delle cose: inutili i tentativi di Tyrion di spiegare che la situazione è molto grave, perché con la morte di Renly gran parte del suo esercito passerà nelle fila di quello di Stannis. Cersei sta anche macchinando dell’altro, come Tyrion scopre dalla sua nuova spia Lancel: viene così a sapere che la Regina ha segretamente commissionato agli alchimisti di King’s Landing grandi quantità di Altofuoco, una letale sostanza incendiaria in grado di distruggere qualsiasi materiale in un attimo, e senza possibilità di essere estinta. Impagabile lo scetticismo di Bronn che, con la sua saggezza terra terra con cui ci delizia da un paio di episodi, puntualizza che le guerre si vincono con i soldati e non con gli intrugli. Ma Tyrion è visibilmente impressionato e preoccupato dalla quantità di Altofuoco già prodotta, in grado di radere al suolo l’intera città: con una decisione sbrigativa, egli comanda che, d’ora in poi, gli alchimisti produrranno per lui, e non per la sorella. Come la prenderà Cersei?
Intanto Arya non se la passa poi così male ad Harrenhal: nonostante faccia di tutto per non dare nell’occhio, il suo orgoglio di Stark emerge prepotente nello sguardo che si scambia con Tywin, incuriosito da questa ragazzina particolarmente sveglia. “Anyone can be killed” risponde lapidaria al Lord quando questi gli chiede se crede alle leggende sull’immortalità del King in the North sul suo meta-lupo. Tutti possono essere uccisi, cosa che Arya ha imparato a sue spese e che non ha intenzione di dimenticare. E a coronamento della sua realistica saggezza, arriva un inaspettato aiuto proprio dell’interno delle impenetrabili mura di Harrenhal: il misterioso (e dannatamente affascinante) Jaqen H’gar annuncia di dovere ad Arya tre vite, per le tre che ha salvato allungando l’ascia ai prigionieri prima di fuggire dall’incendio. Incredula, Arya fa un primo nome, quello del perfido torturatore del castello. Poco dopo eccolo volare giù dalle merlature della fortezza: “speak three names and the man will do the rest”.
Non succede molto negli angoli più remoti dei Sette Regni: Theon, dileggiato da quella che dovrebbe essere la sua ciurma, si fa venire altre scellerate idee per impressionare il padre e la sorella; Jon, oltre la Barriera, si unisce ad una spedizione guidata dal neoarrivato Qhorin il Monco e diretta a sorprendere le sentinelle dei Bruti abbarbicate sulle montagne. A Qarth, mentre i draghetti imparano a “cucinare” il loro cibo, Danaerys conosce altri illustri e bizzarri abitanti della città, e riceve una proposta di matrimonio da Xaro, che le promette in cambio tutte le navi necessarie ad attraversare il mare per riprendersi Westeros. La veemenza con cui Jorah la dissuade tradisce qualcosa di più che semplice affetto da consigliere.
I sogni inquietanti di Bran si rivelano terribilmente premonitori in “The Old Gods And The New”: il giovane Lord è costretto a cedere Winterfell a Theon e i suoi in cambio della salvezza dei sudditi. Theon non può evitare di dare l’impressione di uno a cui è sfuggita letteralmente la situazione di mano, in un misto tra arroganza e insicurezza che tradisce la sua mancanza assoluta di responsabilità. C’è indubbiamente più senso dell’onore nelle ultime parole di Rodrick Cassel che in tutta la casata Greyjoy: straziante la scena della condanna a morte da parte di Theon, convinto dal suo nuovo braccio destro a dare l’esempio. E la difficoltà con cui Theon esegue la sentenza è simbolica del ginepraio in cui si è infilato: col terrorismo non guadagnerà rispetto, bensì seminerà odio.
Lo stesso odio che sta montando da tempo nelle strade di King’s Landing, e di cui la famiglia reale ha una prova tangibile dopo aver salutato Myrcella, messa su una nave per Dorne (a dispetto delle minacce di Cersei è la scelta più sensata, a giudicare da quel che segue): dopo un lancio di sterco in direzione della faccia di Joffrey (e mai gesto fu più gradito), la folla inferocita si avventa sui reali. A farne le spese, oltre al sacerdote letteralmente fatto a pezzi di fronte allo sconcerto di Tyrion, è Sansa: all’ultimo minuto la salva il Mastino, confermandosi l’unico, insieme a Tyrion, che ha stranamente a cuore la giovane Stark.
All’accampamento, Robb si perde in occhiate languide per la misteriosa Lady Talisa, la crocerossina amputatrice dell’episodio 4: ma un corvo messaggero è arrivato, e con lui le infauste notizie della presa di Winterfell. Ancora una dimostrazione che, purtroppo, l’onestà e il valore degli Stark nulla possono di fronte allo scenario di avidità e colpi bassi che la guerra prospetta.
Stavolta Arya rischia grosso: non solo Lord Baelish si presenta a Harrenhal per discutere con Tywin di fronte a una coppa di vino che lei deve servire, ma viene anche scoperta con un messaggio in cui si segnala la posizione di Robb, avventatamente sottratto dal tavolo del Lord: come fosse un monito per aver quasi familiarizzato con Tywin, che l’ha indubbiamente presa in simpatia. Solo il repentino intervento di Jaqen salva la situazione, ma adesso ad Arya non è rimasto che un solo desiderio di morte da esaudire.
Oltre la Barriera, la spedizione di Jon dà buoni frutti, ma gli lascia anche l’onere della responsabilità di Ygritte, l’unica donna tra i Bruti scoperti e uccisi. La decisione di graziarla gli costa lo smarrimento in mezzo agli impervi picchi degli Artigli del Gelo, e il divertito e provocatorio scherno della ragazza mentre sono costretti a dormire semi-abbracciati per fronteggiare il gelo notturno.
Dany è impegnata a trovare navi, ma il suo approccio molto ambizioso e quasi infantile non la sta portando da nessuna parte. In più, la scoperta finale dà conferma tragicamente gli avvertimenti che l’oscura donna mascherata dello scorso episodio aveva dato a Jorah: dietro le gentilezze si nasconde la brama, e al momento non esiste nulla di più prezioso dei tre piccoli draghi.
La guerra è ormai avviata, e gli scenari dei Regni, come li conoscevamo finora, sono destinati a mutare rapidamente: per il momento, a perderci un po’ sono i segmenti più periferici rispetto al grande gioco dei troni, ovvero la vicenda di Dany a Qarth e la spedizione all’estremo Nord di Jon e i Guardiani della Notte. Piccolezze che non impediscono a Game of Thrones di rimanere una delle serie più avvincenti dell’anno.
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Uno dei (mille) meriti della serie è mostrare i punti deboli dei personaggi: Theon che in fondo resta un ingenuo, Jon che gnaaafà a calare la spada, Dany che perde il senso della realtà. L’unica che continua a non convincermi è Cersei che millanta amore materno…
Questo è un riassunto, non una recensione.
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