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Il palmarès ha scontentato tutti? A una settimana dalla chiusura della 72^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia i social ancora risuonano di commenti sardonici, acidi, incattiviti di chi non ha digerito il responso della giuria guidata da Alfonso Cuarón. Ovviamente stiamo parlando di appassionati e addetti ai lavori perché al resto del mondo – facciamocene una ragione – poco o nulla importa.

Nell’universo dei cinematografari però c’è chi grida allo scandalo, al nepotismo, al gomblòtto, al delirio. Vero è che durante la conferenza stampa di presentazione del festival, a luglio, il Direttore Alberto Barbera aveva detto «il cinema più interessante ultimamente arriva dal Sud America». Vero è che il Presidente di Giuria Alfonso Cuarón è messicano e amico di Guillermo Arriaga, produttore e cosceneggiatore di Desde Allà, film premiato con il Leone d’oro. Vero è che in Concorso erano presenti almeno altri quattro film molto più “da festival” e cinefili di quelli premiati (Rabin, The Last Day di Gitai, 11 Minut di Jerzy Skolimowski, Francofonia di Alexsandr Sokurov, Behemoth di Liang Zhao). Eppure il segnale lanciato da questo palmarès non ci dispiace.

Il distacco tra il pubblico delle sale e quello dei festival è ormai così grande e conclamato, che cercare di trovare una buona via di mezzo non ci sembra così sbagliato. Quando vinse quella grande opera d’arte che è Faust di Aleksandr Sokurov, la distribuzione in sala fu disastrosa. E in fondo non fu così strano, perché un film del genere ha bisogno di preparazione, e il normale pubblico non ce l’ha. Non si tratta di snobismo o sindrome da superiorità cinefila, ma di un dato di fatto. È come aspettarsi che il palato di chi è abituato solo a buoni spaghetti al pomodoro, possa apprezzare al primo assaggio sapori molto più strutturati. Ci vuole volontà e preparazione.

E allora sapere che quest’anno, quando uscirà El Clan di Pablo Trapero il pubblico ne sarà probabilmente soddisfatto (senza Leone d’argento non sarebbe arrivato nelle nostre sale o avrebbe avuto una distribuzione assai ridotta), tutto sommato non ci dispiace. Sospendere per un po’ il classico commento di stizza contro i festial, i critici e le giurie (e fuori dalle sale si sentono spesso) non può che essere una sana boccata fresca. Non sarà la risoluzione i tutti i mali, ma spingere i palati a ri-abituarsi a messe in scena più strutturate, ci sembra cosa buona e giusta.

Perché se un po’ di “resto del mondo a cui poco o nulla importa del cinema” dovesse provare la curiosità di assaggiare qualche film più estremo, si vince tutti: Festival, Sistema cinema, pubblico. Perché verso sud (America), gli chef del cinema hanno dimostrato coraggio e apertura. E se i loro film vi sono rimasti sullo stomaco, forse avete bisogno di riscoprire i sapori più semplici. Mica si può pasteggiare solo a caviale!

Scritto da Sara Sagrati.