«La critica non serve più a spostare spettatori». Una di quelle frasi sentite e risentite in tanti anni di militanza silenziosa tra le fila di presentazioni di libri, corsi di scrittura, redazioni cinefile e file ai festival. Ma questa volta non si tratta della solita constatazione/lamentela del critico cinematografico di turno, ma è una frase pronunciata da Alessandra Comazzi, firma di “La Stampa” per televisione e media. Ospite di TvTalk (Raitre, sabato ore 15.00) ha dichiarato che sebbene siano in pochi a sostenerlo, la critica di oggi non può che essere una guida nel mondo dei mille canali, segnalando così non solo ciò che c’è da vedere, ma anche cosa ci si è persi. Personalmente non potrei essere più d’accordo. Non solo per l’oggettiva impossibilità di riuscire a vedere tutto ciò che andrebbe visto, quanto meno per la curiosità di sapere come viene rappresentato il nostro presente, ma soprattutto sulla funzione di guida da parte della critica.

Fino a 25/30 anni fa, le visioni erano condivise, al cinema come in tv. Nei bar, sui banchi di scuola, alle macchinette del caffè si parlava del programma della sera prima, del film visto al cinema o in tv, dell’ultimo bestseller letto. La frammentazione iconografica di oggi, che è un bene plurale ormai irrinunciabile, porta alla creazione di nicchie unite dalle stesse esperienze visive: cinema, digitale terrestre, canali satellitari, streaming, videogame, Internet. In parole povere, ciò che prima ci accumunava, oggi ci divide. Non si tratta di una facile e superficiale critica alla “si stava meglio quando si stava peggio”, perché questo frazionato presente è più sfidante e il ruolo culturale della critica (con cui vorrei intendere chiunque abbia voglia di riflettere su ciò siamo oggi e su come ci rappresentiamo) è oggi più che mai importante. Non si spostano più gli interessi, ma si forniscono spunti e visioni. Quello che ci manca, forse, è la capacità di saperli cogliere e sviluppare la nostra visione del mondo. Dobbiamo ancora imparare a condividerci. Una volta, l’uscita di un film come Pasolini, avrebbe smosso trasmissioni, opinionisti, interrogazioni parlamentari. Oggi passa quasi sotto silenzio, se non nella comunità cinefila. Ma non è mancanza di forza, non è solo la deriva consumistica del mercato cinematografico (poche sale, nessuna promozione), ma probabilmente l’incapacità di condividerne l’importanza. I mezzi sono cambiati, le possibilità sono cambiate. Il linguaggio è cambiato e per ritornare a essere guide autorevoli, bisogna smettere di guidare da soli.

Lo scorso weekend, ho usufruito di un noto servizio online di car sharing (in questo caso ride sharing) per andare a trovare i parenti che vivono 400 km a Sud. Minima spesa, massimo risultato, nuovi amici. E se imparassimo a condividere le risorse per guidare meglio? Sullo schermo ci hanno insegnato che è pericoloso, ma al diavolo le vecchie abitudini.

P.S.: nell’articolo sono presenti dei marchi commerciali a fini metaforici e non commerciali.

Scritto da Sara Sagrati.