«E di colpo venne il mese di febbraio / faceva freddo in quella casa…»: inevitabile che ti risuoni nella mente la canzone di Battiato e Milva Alexander Platz, quando sei alla Berlinale. I punti del testo che combaciano con la condizione di frequentatore del festival della capitale tedesca sono più d’uno. La canzone è ambientata a febbraio proprio quando si svolge il festival, «c’era la neve»: facile che succeda durante quel periodo, «ci vediamo questa sera fuori dal teatro»: non è il cinema e vanno a sentire Schubert, ma alcune sale del festival, come il Friedrichstadt-Palast, funzionano normalmente come teatri. E poi Battiato ci mette un riferimento al cinema: «prigioniera del suo film, che aspetto all’angolo come Marlene». Trattasi di un film mentale dove comunque si evoca la canzone Lili Marlene, che richiama subito la divina Dietrich, ma anche la stessa Milva l’aveva cantata, e che dà il nome a un film di Fassbinder (regista che pure fece una serie televisiva dal titolo Berlin Alexanderplatz). Ma la strofa che più si adatta ai cinefili frequentatori della manifestazione è sicuramente «Hai le borse sotto gli occhi». Come si potrebbe non averle se ci si sveglia per il primo film della mattina dopo aver visto l’ultimo film della sera prima? La dimensione quantitativa colpisce sempre anche per questo festival, che funziona con sale dislocate in tutta la città tenendo il suo centro nella Potsdamer Platz, quella piazza che era terra di nessuno nella città attraversata da muro, come mostrata anche nel film Il cielo sopra Berlino, riproiettato al festival proprio quest’anno per l’omaggio a Wenders. Quella Potsdamer Platz che ora, nella capitale riunificata, è stata fatta diventare, per contrasto, il trionfo del capitalismo sfrenato, il paese dei balocchi, riempita di giganteschi centri commerciali dalle vetrine sgargianti.

Quest’anno, per un festival che, come il vino, dipende e varia molto dalle annate, e che spesso in passato ha vissuto con gli scarti di Cannes e Venezia, davvero rimarchevole è stata anche la dimensione qualitativa, con un concorso decisamente di alto livello. Riflesso del declino veneziano post-Müller? Difficile dirlo, vista la distanza temporale che separa le due manifestazioni. La cosa comunque che ci preme rimarcare è che le grosse delusioni sono venute proprio da quel cinema che qui ha avuto la sua culla. Wenders, a cui era previsto anche un omaggio, ed Herzog, con le loro ultime due opere, Every Thing Will Be Fine e Queen Of The Desert. Autori che meritavano il concorso solo per il nome, probabilmente. Ma autori il cui declino – certo con dei distinguo: indiscutibile e in picchiata per Wenders, mentre se ne può parlare per Herzog – era già stato diagnosticato da tempo. Pochi cineasti, come Bela Tarr o Victor Erice hanno avuto il coraggio di prendere atto di aver già detto tutto e di appendere la mdp al chiodo. Che cosa resta del nuovo cinema tedesco? Rimane il dubbio atroce che la morte prematura ci abbia risparmiato un’analoga decadenza anche per Fassbinder. [Continua…]