Quanto è bello quando il cinema è ancora in grado di stupire. Dopo decine d’anni di visioni in sale di periferia, multisala, festival conosciuti e non, vhs d’importazione, dvd masterizzati e torrent di frodo, riuscire ancora a spalancare la mascella e sorprendersi a tenere il tempo con testa e piedi, seduti in prima fila di un cinema pieno, è una grande soddisfazione. Nella fattispecie mi è appena successo al Filmmaker di Milano, alla visione di Abacuc di Luca Ferri, già presentato anche al Torino Film Festival. Non è un film che troverete presto nei migliori cinema, e nemmeno nelle peggiori videoteche, più probabilmente in qualche maratona ghezziana di Fuori Orario. Ed è un vero peccato. Cioè, sarà bellissimo, non fraintendiamoci. W Enrico Ghezzi e W Fuori Orario. E sarà bellissimo se e quando succederà che Abacuc passi in tv, così che altri ne possano scoprire la forza espressiva, la modernità pur nella classicità della messa in scena, la potenzialità del Super8 e la partitura con il quale Ferri e il compositore Dario Agazzi realizzano una danza macabra di vita, ma personalmente sono stata davvero felice di averlo visto in sala. Quello è il suo posto, il luogo dove apprezzarlo al massimo delle sue potenzialità. Il piccolo schermo lo avrebbe compresso, il suono si sarebbe appiattito e la tracotanza del gargantuesco protagonista (Dario Bacis vuoi sposarmi?) si sarebbe inesorabilmente ridotta. Sul piccolo schermo Abacuc non mi avrebbe sbalordita. Forse mi avrebbe addirittura annoiato, anzi, ancora peggio: non l’avrei capito. Perché il cinema è grande per definizione. Non a caso la sera, a casa, mi ammazzo di serie tv. Ne vedo a dozzine a notte inoltrata, quando sono stanca. Perché anche le migliori tra loro non sono cinema e, in quei momenti, il cinema sarebbe troppo. Almeno certo cinema, quello non narrativo, quello fuori formato, quello che ha bisogno di concentrata concentrazione. Il grande schermo catalizza i sensi e li mette in allerta, quello piccolo li rilassa. Con le dovute eccezioni e continuando, sempre e comunque, a ricercare nuovi autori e antichi amori da coltivare e da (ri)scoprire su computer e tv. Perché alla fine, quello che noi cinefili vogliamo, è ritrovare l’emozione della prima mascella spalancata al cinema, quando per la prima volta inconsciamente abbiamo seguito il tempo con i piedi e mosso la testa insieme al protagonista. E per farlo, usiamo anche schermi piccolissimi. Continuiamo a spingerci “verso sud”, ma a furia di vedere film nei “formati sbagliati”, è davvero una goduria ricordarsi che le dimensioni contano.

P.S.: non rinnego il discorso della scorsa settimana, ma ogni tanto un luogo comune è salutare. E il cinema in sala è oggettivamente più bello… oltre ad essere un luogo comune e per tutti.

Scritto da Sara Sagrati.