Whedon in 4. Alien – La Clonazione: la recensione
A shitty Alien movie with my name on it.
Joss Whedon non poteva essere più esplicito nell’autodefinire Alien – La Clonazione uno dei punti più bassi della sua carriera. A pensarci bene potremmo includere il quarto capitolo di Alien nel club “script whedoniani completamente stravolti dalla produzione“, perché se è vero che il film può essere considerato uno shitty movie il motivo è in gran parte imputabile a un’interpretazione inadeguata dell’immaginario whedoniano. Di fatto, nella sceneggiatura è comunque possibile ritrovare le caratteristiche narrative che segneranno il successo del Whedonverse.
Innanzitutto Alien è un franchise guidato da un’eroina femminile – l’iconica Ellen Ripley – che ben si sposa con l’universo di Whedon, popolato da donne forti e potenti; di conseguenza nasce un capitolo Ripley-centrico che sposta il conflitto con l’alleno direttamente all’interno della protagonista. Dalla penna dello sceneggiatore nasce infatti Ripley 8: ottavo e indesiderato “sottoprodotto” di un esperimento genetico tra l’umana Ripley e il mostro Alien. Inoltre, l’espediente della clonazione permette a Whedon di iscrivere il personaggio all’interno di un’affascinante rapporto inter-specie – ambiguo, animalesco e potente – che ritroveremo in altri personaggi del Whedonverse. Quello che interessa veramente all’autore è raccontare la condizione non umana di Ripley come metafora della diversità – fil rouge delle narrazioni whedoniane -; concetto sviscerato attraverso il percorso di accettazione e definizione di sé e amplificato dal droide Cal, reticente a svelare la sua (contro)natura robotica.
Il franchise di Alien si arricchisce così di nuove affascinanti allegorie – insieme all’uso massiccio del sarcasmo, qualche cliffhanger e un gruppo di co-protagonisti sgangherati pre-Firefly – che vanno a delineare il Whedon che verrà. Del classico Alien, invece, la sceneggiatura esalta il sottotesto simbiotico/incestuoso tra la cacciatrice e il mostro e ne conserva il simbolismo orrorifico – come la premessa inquietante “My mommy always said there was no monsters. No real Ones” che ritroveremo alla base di Buffy – insieme alla tensione claustrofobia, all’apice durante il ritrovamento dei cloni. Ottimi spunti travisati dalle numerose revisioni della sceneggiatura, dai clamorosi miscasting e altre scelte killer che hanno abbassato l’asticella di gradimento verso lo shitty movie.
Giacomo B. | ||
7 1/2 |
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