Con gli episodi “The Rains of Castamere” e “Mhysa” si chiude la terza stagione di Game of Thrones. Dopo la lunga escalation preparatoria, la narrazione esplode finalmente nell’attesissimo Red Wedding, le nozze di sangue che ormai tutti sapevano di doversi aspettare nella nona puntata, inclusi i solitamente ignari non-lettori. E l’episodio non ha deluso le aspettative: 52 minuti confezionati alla perfezione, gli ultimi otto dei quali ribaltano praticamente tutto il set-up precedente e lasciano gli spettatori a fissare lo schermo con gli occhi sbarrati, nel silenzio dei titoli di coda volutamente privi di colonna sonora. Dopo un’anti-catarsi di tale portata, quasi non ci si accorge del season finale, pur necessario, ma troppo debole per colmare il divario che separa il capolavoro precedente dalla lontanissima quarta stagione, prevista per la primavera 2014.

“The Rains of Castamere” si apre con un tabellone da Westerisiko su cui Robb Stark muove leoni e lupi, chiedendo consiglio alla madre: converrà tentare la rischiosissima presa di Castelgranito per mirare al “cuore” di Tywin Lannister? Ancor più che dalla redenzione del figlio che ha ignorato i suoi consigli precedenti e l’ha tenuta prigioniera, Lady Catelyn si lascia conquistare dal desiderio di mostrare a Tywin cosa significa perdere ciò che si ama davvero (rievocando peraltro il dialogo tra Cersei e Tyrion alla partenza di Myrcella). C’è però una conditio sine qua non: “If Walder Frey cooperates”.

E qui casca il lupo: il vecchio Frey, a cui David Bradley trasmette tutta la simpatia del Mastro Gazza potteriano, esasperata da un delirio di onnipotenza, misoginia e rozzezza, non pare aver apprezzato il tiro mancino di Robb, che avrebbe dovuto sposare una qualsiasi delle sue infinite e poco allettanti figlie e nipoti, di cui egli stesso fatica a ricordare i nomi. Fortunatamente (?) Walder apprezza invece le forme sode di Talisa; Robb, mano sulla spada nell’udire i commenti da osteria del raffinatissimo compagnone, si lascia poi incantare dall’apparente offerta di riconciliazione, la festa per le nozze di Edmure: “The wine will flow red, the music will play loud, and we’ll put this mess behind us”.

Nel frattempo la trama procede in modo incalzante e ben strutturato, eccezion fatta per la parentesi su Sam e Gilly, di scarsa utilità se non per l’autostima del buon Tarly. Meravigliosi come sempre, invece, i siparietti tra il Mastino e Arya, segni d’interpunzione tra gli altri due fulcri narrativi dell’episodio. Al di là del Narrow Sea, Daenerys riesce finalmente a conquistare la città gialla di Yunkai, grazie all’aiuto dell’avvenente Daario Naharis (per la gioia di Ser Jorah). Nei pressi della Barriera si incrociano invece per un cruciale istante il cammino di Bran e compagni, riparatisi in un mulino abbandonato, e quello di Jon Snow, la cui lealtà viene messa alla prova dai Bruti. Le doti da warg permettono a Bran di controllare prima la mente di Hodor e poi quella dei metalupi Estate e Cagnaccio, salvando sia il proprio gruppo, sia il fratellastro, ma portando infine non a un ricongiungimento, bensì a una tripla separazione. Jon fuggirà a cavallo, allontanandosi volontariamente da Ygritte (che pure aveva cercato di aiutarlo) e inconsapevolmente dai superstiti di Grande Inverno, i quali si separeranno a loro volta: Bran proseguirà la ricerca del corvo a tre occhi insieme a Hodor e ai fratelli Reed, mandando invece Osha all’Ultimo Focolare per mettere al sicuro Rickon.

Ed eccoci finalmente al momento più atteso: tutto sembra procedere bene al banchetto, Robb fa l’uomo vissuto e concorda che non ci possa essere wedding senza bedding (ovvero il trasporto degli sposini verso il talamo tramite crowdsurfing), Edmure giustamente se la gode perché la sposa Roslin è molto più bella delle altre fanciulle Frey… e poi si manifestano due inequivocabili presagi di sventura: Lady Catelyn sorride e Talisa dichiara di voler chiamare il figlio Eddard. Detto, fatto: le porte si chiudono, risuonano le note dell’inno dei Lannister che dà il titolo all’episodio e la carneficina degli Stark ha inizio. Arya, sopraggiunta nel frattempo, assiste alla strage degli uomini del fratello e all’uccisione del metalupo Vento Grigio, prima che il Mastino la tramortisca per risparmiarle il peggio. Un peggio inesorabile e senza ritorno: Talisa pugnalata al ventre, Robb che la osserva impotente trafitto dalle frecce, sotto gli occhi di una Catelyn ugualmente ferita che tenta un ultimo, disperato gesto prendendo in ostaggio la moglie di Frey. Ma il vecchiaccio, ormai l’abbiamo capito, considera le donne interscambiabili. Les jeux sont faits. Sangue a fiotti. Buio. Silenzio.

A “Mhysa” spetta l’arduo compito di chiudere la stagione interagendo con un pubblico ancora ammutolito e in gramaglie. Missione compiuta solo a metà, per colpa di abbondanti sequenze superflue o mal congegnate e di una recitazione direttamente proporzionale all’utilità dei vari momenti. E per una volta non è soltanto colpa del nulla-sciente Kit Harington: la puntata segna infatti il picco negativo della storyline di Theon e del suo misterioso torturatore, che Iwan Rheon interpreta con movenze e intonazione talmente esasperate da far inorridire anche la buonanima di Eduardo Palomo. Poco importa che si sveli finalmente l’identità del sadico carceriere, ovvero il figlio bastardo (e mai termine fu più appropriato) di Lord Bolton: la violenza gratuita, già esasperata durante tutta la stagione (fondamentalmente per non spedire Theon nel dimenticatoio per troppo tempo), sprofonda qui in un parallelo davvero cheap tra la salsiccia sul piatto del neo-rivelato Ramsay Snow e il fu membro del neo-eunuco Theon. Membro che per altro viene spedito a casa Greyjoy, suscitando ulteriore disprezzo per il figlio da parte di Balon e un istinto protettivo assolutamente out-of-character da parte di Yara (tanto per aumentare i momenti WTF dell’episodio).

Molto più riuscite, invece, le varie reazioni al Red Wedding: Joffrey in tripudio che già pregusta il momento in cui potrà allargare la sua collezione di teste Stark da mostrare a Sansa (“Everyone is mine to torment”), Tywin impassibile che manda a letto senza cena il nipotino, ben sapendo che è l’unico modo per gestire un bimbetto psicopatico (e qui non possiamo che adorare il supremo Lannister e la splendida interpretazione di Charles Dance), la povera Sansa in lacrime. Come sempre però è Arya a darci più soddisfazione: costretta ad assistere al terribile spettacolo del corpo di Robb portato in giro con la testa di Vento Grigio cucita al posto della sua, la piccola grande Stark si vendica a suon di pugnale sui responsabili del macabro lavoro di sartoria, aiutata da un incredulo Mastino, e ci ricorda che “Valar Morghulis”.

Il resto dell’episodio adempie bene al compito di riassumere chi detiene il potere a questo punto: non tanto Walder Frey e Lord Bolton, il cui dialogo gongolante serve più che altro all’inserimento dello spiegone su Ramsay, ma certamente e inequivocabilmente Tywin, ormai assoluto burattinaio di Westeros, il quale però dovrà presto temere l’avanzata di Daenerys, che governa secondo principi ben diversi. La scena di chiusura vede infatti la bella khaleesi incitare il popolo di Yunkai a riprendersi la libertà che lei non può concedere loro perché non è di sua proprietà. Molto coreografica la ripresa finale in stile Busby Berkeley, uno zoom-out verso l’alto su Dany portata in trionfo al grido di “Mhysa”, “madre”. Per inciso, simbolo di maternità dovrebbe essere anche Cersei, ma più che il suo inveterato amore per l’insostenibile Joffrey, ci conquista l’intensità dello sguardo attonito con cui la regina madre accoglie il ritorno dell’amato Jaime col moncherino al collo.

Ad ogni modo la vera minaccia per il futuro di Westeros non sono tanto le battaglie intestine, quanto il pericolo che arriva dal grande Nord. Lo sanno Bran e soci, che proseguono verso la Barriera armati dei pugnali di ossidiana ricevuti da Sam, e lo sa bene quest’ultimo, che torna ad avvisare Maester Aemon: “The night is gathering.” Ma lo sa anche Melisandre, che lo legge nel (solito) fuoco in una scena molto poco convincente, ma che permette almeno di salvare il buon Ser Davos, che a sua volta aveva messo in salvo Gendry (dopo un intenso dialogo che fortunatamente compensa il momento WTF in cui il ragazzo viene spedito a King’s Landing a bordo di una canoa). Chi invece non sa molto, come al solito, è Jon Snow, che sceglie il momento peggiore per dichiarare il suo amore alla povera Ygritte sedotta e abbandonata, beccandosi tre frecce in corpo (accompagnate dalla perfetta espressione di dolore, rabbia e sconforto dell’ottima Rose Leslie). Riusciranno Sam e gli altri di Castle Black a salvare il giovane corvo, e soprattutto riusciranno i vari regni a prepararsi per la lotta contro gli Estranei? Non resta che riempire l’estate con la lettura dei libri, in attesa del vero inverno.

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Game of Thrones 3×09 – 3×10: la recensione

Con gli episodi The Rains of Castamere e Mhysa si chiude la terza stagione di Game of Thrones. Dopo la lunga escalation preparatoria, la narrazione esplode finalmente nell’attesissimo Red Wedding, le nozze di sangue che ormai tutti sapevano di doversi aspettare nella nona puntata, inclusi i solitamente ignari non-lettori. E l’episodio non ha deluso le aspettative: cinquanta minuti confezionati alla perfezioni, gli ultimi dieci dei quali ribaltano praticamente tutto il set-up precedente e lasciano gli spettatori a fissare lo schermo con gli occhi sbarrati, nel silenzio dei titoli coda volutamente privi di colonna sonora. Dopo l’anti-catarsi del nono episodio, quasi non ci si accorge del season finale, che pure è una puntata discreta, ma non basta a colmare l’enorme divario che separa il capolavoro precedente dalla lontanissima quarta stagione, prevista per la primavera 2014.

Con gli episodi The Rains of Castamere e Mhysa si chiude la terza stagione di Game of Thrones. Dopo la lunga escalation preparatoria, la narrazione esplode finalmente nell’attesissimo Red Wedding, le nozze di sangue che ormai tutti sapevano di doversi aspettare nella nona puntata, inclusi i solitamente ignari non-lettori. E l’episodio non ha deluso le aspettative: cinquanta minuti confezionati alla perfezioni, gli ultimi dieci dei quali ribaltano praticamente tutto il set-up precedente e lasciano gli spettatori a fissare lo schermo con gli occhi sbarrati, nel silenzio dei titoli coda volutamente privi di colonna sonora. Dopo l’anti-catarsi del nono episodio, quasi non ci si accorge del season finale, che pure è una puntata discreta, ma non basta a colmare l’enorme divario che separa il capolavoro precedente dalla lontanissima quarta stagione, prevista per la primavera 2014.