Un romanzo di ri-formazione, di ri-configurazione questo terzo capitolo della saga di Iron Man con Robert Downey Jr e favorevolmente condizionato dall’esordio del regista Shane Black. Da meccanico che “aggiusta le cose”, Iron Man ripara, ricostruisce se stesso e recupera il contatto con l’umanità riscoprendo il valore della fratellanza umana.

Ossessionato dalle macchine, Tony Stark passa le sue notti insonni nel caveau a perfezionare le sue armature. Rischia così di perdere il contatto con la realtà e con l’amata Pepper (Gwyneth Paltrow). Ben presto la comparsa di un terrorista che si fa chiamare il Mandarino (Ben Kingsley) e che vuole dare l’ennesima lezione all’America, vista come il male assoluto, richiama Tony al proprio dovere di protettore distogliendolo dagli interrogativi che lo assillano. Rimasto sprovvisto della propria armatura, Tony dovrà fare a meno dell’eccellente Jarvis e affidarsi all’aiuto di Harley, un piccolo genio, una versione di Tony da bambino, al proprio intelletto e al proprio fiuto investigativo. Trasformatosi in detective, Tony scopre che dietro il Mandarino si nasconde una sua vecchia conoscenza: Aldrich Killian (Guy Pearce) che vuole vendicarsi del rifiuto che Tony gli ha opposto più di dieci anni prima di contribuire alla sua ricerca.

Se la Marvel aveva preannunciato per questo ultimo episodio un ritorno a Tony, al suo essere uomo prima che supereroe, la promessa non viene disillusa, ma confermata da una storia che, con sprizzante ironia e dialoghi brillanti e attraverso le spettacolari scene d’azione, va oltre tutto questo, e riflette sul male, sui demoni che noi stessi ci creiamo. Al contrario di quanto potrebbe sembrare, però, non è la tinta noir a prevalere, non si indaga il buio che è dentro a Tony, che non è Bruce Wayne. Ce lo dice già il fatto che a suggerirgli cosa fare, ad aiutarlo nelle sue imprese e a predisporre le strategie rintanato in un bunker sotterraneo (questi supereroi amano gli abissi), non c’è Alfred, ma Jarvis, un computer che per la sua autonomia, per un’intelligenza che si sospetta possa essere superiore a quella umana, non può che ricordarci Hal 9000 di 2001: Odissea nello spazio. Più benevolo di quest’ultimo, anche Jarvis sceglie autonomamente la rotta da seguire e, atterrando in un paesino del North Carolina, contribuisce alla salvezza di Tony, che attraverso Harley e l’aiuto offertogli da un fan sfegatato (“Tony ha bisogno di Gary adesso”, gli dice Iron Man per frenare il suo entusiasmo e la parlantina esasperante) ristabilisce un contatto col proprio lato umano e restaura un patto di solidarietà con gli uomini. Perché la scienza non è tutto, non può essere autoreferenziale, anzi deve aiutare l’uomo e non annientarlo come vorrebbe Aldrich, che sfrutta la scoperta della scienziata Maya Hansen, vecchia fiamma di Tony, per conquistare il potere e la fama che gli sono sempre stati negati. La “pura scienza” votata alla propria autoaffermazione, quella che genera il rimorso di Nobel perché sviluppa demoni, è la scienza che serve a creare il terrore a cui è ancora sottomessa l’intera America. Si pensi alla guardia del corpo Happy Hogan, al suo zelo eccessivo, all’ossessione della sicurezza che porta a un controllo asfissiante della società e che rispecchia l’ansia in cui il mondo continua a vivere dopo l’11 Settembre. Per fare paura, bisogna dare “un volto al Male”, è necessario che il Male si spettacolarizzi e acquisti un proprio linguaggio espressivo, un codice comunicativo comprensibile da chi guarda i video di minacce e gli omicidi in diretta tv. Lo stesso Tony Stark intuisce che c’è qualcosa di ostentato e di fittizio nella figura del Mandarino, e lo comprende perché anche lui è un attore che indossa un costume-armatura e una maschera.

Ma non possiamo chiedere a un film distribuito dalla Disney di andare a fondo nella voragine oscura del male, che spesso avvicina pericolosamente l’eroe all’antagonista, l’angelo al demone. La sola colpa di Stark, allora, è quella di aver dimenticato di essere uomo prima che macchina e di aver reso le macchine degli dei a cui sacrificare l’amore, il sonno, la salute e, in generale, la vita. È una mancanza che però perdoniamo al film, che ci restituisce un Iron Man inscindibile dall’attore che lo interpreta, un autoironico e irresistibile sbruffone di nome Robert Downey Jr., un Tony Stark che non conosce la disperazione (nemmeno quando sta per perdere l’amico Happy e l’amata Pepper e non bastano gli attacchi di panico a cui è soggetto a trasmetterci il suo dolore) e che lo spettatore assolve da una necessaria (perché rispondente al genere) piattezza psicologica. La regia/sceneggiatura di Shane Black, però, è meno superficiale della maschera di Tony/Downey, e non si limita ai combattimenti mozzafiato e alle imprese elettrizzanti che riempiono questo film (le scene della distruzione di casa Stark e del recupero in volo dei passeggeri di un aereo sabotato hanno dei picchi di esaltazione perfettamente riusciti), ma si riversa anche sulla scenografia. Lo studio di Pepper ad esempio è arredato con la famosa foto del peperone di Edward Weston (che rimanda anche al nome di lei) e le cui forme plastiche vengono riprese da una scultura astratta: all’amore di Tony per le macchine e per la loro spigolosità, si oppone la passione di Pepper per altri prodotti dell’ingegno umano, quelli sinuosamente curvi e vitali dell’arte.

Insomma, una sceneggiatura d’azione dinamica e ben congegnata, corredata da una regia intelligente e attenta, danno vita a una storia che, come ogni buona favola, ci insegna ad apprezzare le potenzialità dell’uomo, che resta un eroe anche quando perde la propria armatura, questo “bozzolo” che rischia di trasformarsi in prigione.

Scritto da Vera Santillo.

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