L’adolescente Dave Lizewski è un geek fra tanti, e come tanti passa le proprie giornate un po’ a sognare ad occhi aperti, un po’ a leggere e parlare di fumetti con gli amici, un po’ (un po’ molto, a dire il vero) a masturbarsi allo sfinimento. Un giorno, spinto dalla voglia di provare a fare una cosa fica, inizia a girare per la città vestito come un super-eroe, alla ricerca di qualche torto da raddrizzare. Primo problema: non basta una tuta per riuscire a riempire di botte i malfattori (che anzi riempiono di botte Dave). Secondo problema: Dave non è il solo a essersi messo in testa di combattere il crimine in maniera fantasiosa. Terzo problema: nonostante tutto, un filmato su internet ha reso Dave celebre, e il boss mafioso più cazzuto della città gli ha messo gli occhi addosso.

La prima cosa che salta agli occhi di Kick Ass è come questa divertente action comedy firmata da Matthew Vaughn, e tratta da un fumetto di Mark Millar*, oltre a essere costellata da personaggi dal vocabolario forbitissimo e punteggiata da brevi momenti di cruenza quasi splatter, sia intrisa di cinema dal primo all’ultimo secondo della propria durata. Le citazioni, palesi e meno, dichiarate apertamente dalla voce narrante di Dave o lanciate verso lo spettatore in maniere molto più sottili, vanno infatti a costituire un’ossatura che non si esaurisce in un semplice gioco al riconoscimento dei riferimenti, ma si fonde con storia e personaggi in una sintesi fresca e accattivante. È così che la parlata stentorea di Big Daddy è, allo stesso tempo, un rifacimento 1:1 del Batman televisivo di Adam West e un goffo tentativo di vestire, per amor di figlia, i panni del super-eroe burbero e cavalleresco; o, ancora, il Dave che si ritrova a ripetere più e più volte le proprie mosse e le frasi ad effetto di fronte allo specchio della camera da letto, altri non è che un Travis Bickle 2.0, incarnazione delle ossessioni più stupide della propria età e contemporaneamente involontario e fortuito eroe finale di avvenimenti ben più grandi di lui; per non parlare poi dei mafiosi italo-americani ampiamente debitori del miglior Scorsese, o degli scontri a fuoco che spaziano da Leone ai fratelli Wachowski.

In questa sovrabbondante e soddisfacentissima struttura inter-cinematografica sia la regia che la sceneggiatura sono sicure, sciolte, in grado di aprirsi e concedersi a dettagli di ambientazione e d’intreccio che rendono il film un piccolo mondo in cui ogni inquadratura regala qualcosa, e ogni personaggio, per quanto marginale o secondario, ha una sua credibilità umana (penso, giusto per citarne un paio, al teppista che chiede incredulo perché Dave stia proteggendo uno sconosciuto, o al portiere del residence del mafioso D’Amico che si lamenta perché non gli permettono più di portare una pistola).

Il film riserva molte sorprese sotto l’apparente patina di spoof supereroistico: l’amicizia adolescenziale, il rapporto con i padri (e, in maniera più obliqua ma non meno interessante, quello con le madri – o meglio con la loro assenza), la volontà e la capacità personali, l’utilizzo dei nuovi media sono tutti temi che trovano uno sviluppo compiuto e non banale, sempre in maniera ben integrata e in sintonia al procedere filmico.

L’intero cast, per finire, è in stato di grazia: se Mark Strong e Aaron Johnson eseguono l’uno con sicurezza e l’altro con sorprendente maturità i propri ruoli, e Nicolas Cage finalmente imbrocca un’ottima interpretazione (ma, si sa, il Cage è fatto così: un film buono e tre orrendi), sono i sidekick, le spalle, a rubare letteralmente la scena, ovvero Christopher Mintz-Plasse e Chloe Moretz. Il primo si è oramai ritagliato una carriera che va ben oltre i confini del caratterista (strada alla quale sembrava destinato sin dalla, pur folgorante, prova d’esordio nei panni del McLovin di Superbad); la seconda travolge, metaforicamente e meno, chiunque le si presenti davanti sulla scena. La varietà e la capacità interpretativa di questa giovanissima attrice sono un ulteriore valore aggiunto a una pellicola già di per sè ottima.

* e che fortunatamente dal fumetto (del quale non sono un gran estimatore) si discosta di molto, sopratutto negli snodi narrativi fondamentali e nella psicologia di alcuni personaggi.

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Chiara C.Leonardo L.
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