Sucker Punch: la recensione
1955. Accusata dell’omicidio della sorella minore, commesso in verità dal malvagio patrigno (Gerard Plunkett – 2012) per impossessarsi del patrimonio familiare, la giovane orfana Baby Doll (Emily Browning – Lemony Snicket, The Uninvited) viene fatta da questi rinchiudere nel manicomio femminile di Lennox House, dove verrà lobotomizzata entro cinque giorni. Per sfuggire al terribile destino che la attende, la ragazza si rifugia con l’immaginazione in una realtà alternativa, in cui il manicomio diventa un bordello – con la dottoressa Gorski (Carla Gugino – Sin City, Watchmen) nelle vesti della madama e il capo infermiere Blue (Oscar Isaac – Robin Hood, Agorà) in quelle del pappone – dal quale progetta di fuggire, assieme alle amiche Sweetie (Abbie Cornish – Un’ottima annata, Bright Star), Rocket (Jena Malone – Donnie Darko, Oltre le regole), Blondie (Vanessa Hudgens – High School Musical, Bandslam) e Amber (Jamie Chung – Dragonball Evolution, Patto di sangue), seguendo le istruzioni di un vecchio saggio (Scott Glenn – Urban Cowboy, Buffalo Soldiers), che le fornisce le armi per trovare i cinque oggetti necessari alla fuga, da recuperare in altrettante battaglie in diversi scenari, ai quali Baby Doll può accedere solo attraverso la danza.
Preceduto da una forte attesa, grazie anche a una notevole campagna pubblicitaria, Sucker Punch è il quinto film diretto da Zack Snyder, il primo basato su un soggetto originale, ed è stato definito dallo stesso regista “un Alice nel Paese delle Meraviglie con le mitragliatrici”.
In realtà, oltre al capolavoro letterario di Lewis Carroll e alla sua più recente trasposizione cinematografica ad opera di Tim Burton, il film saccheggia senza vergogna innumerevoli opere precedenti, a cominciare da Nel fantastico mondo di Oz (per l’ambientazione nella clinica e la trasfigurazione di personaggi reali in altrettante figure fantastiche ad opera della ragazzina dalla fervente immaginazione), passando per Matrix e Kill Bill (per la presenza del vecchio mentore che insegna alla protagonista come sfruttare le proprie potenzialità nascoste, e dell’immancabile katana come arma principale), per finire a Sky Captain and The World of Tomorrow e Hellboy (per la tecnologia steampunk, che si esplica in combattimenti aerei e terrestri con armi ipertecnologiche applicate al passato, contro automi e soldati tedeschi non-morti). E poi ancora, si trovano riferimenti al cinema fantastico orientale, ai videogiochi, ai manga e alla moda femminile (per il look di alcune fra le protagoniste – da scolaretta per Baby Doll, da gothic lolita per Rocket, da cyber girl per Blondie – molto in voga fra le adolescenti giapponesi).
Sul piano visivo, il film è ricchissimo, e rappresenta la summa dell’estetica barocca e visionaria già mostrata dal regista nei film precedenti: fotografia sui toni del nero e del marrone, frequente uso di ralenti, del green screen e della computer grafica, scene di combattimento coreografate come balletti. Sul piano narrativo, l’alternanza fra i diversi livelli di realtà in cui si svolge l’azione – il manicomio, il bordello, i vari mondi fantastici creati dalla mente della protagonista – è però mal bilanciata, la vicenda è esageratamente ripetitiva, e su tutto aleggia un’aria di presunzione, dato che a una confezione così apparentemente perfetta non corrisponde altrettanta ricchezza di contenuti. Dopo la visione del film, al contrario, si rimane con la convinzione di aver assistito ad uno spettacolo estremamente ruffiano, roboante ma completamente vuoto, girato con maestria, ma poco sincero anche nel pur suggestivo finale che sembra più che altro voler dare una giustificazione di circostanza a tanti virtuosismi estetici e all’inarrestabile tripudio di effetti speciali, nella sua ode alla fantasia come unico mezzo per conquistare la propria libertà. Bello da vedere, Sucker Punch non possiede né la potenza evocativa di 300, né la profondità psicologica di Watchmen; per questo risulta molto meno riuscito di entrambi ed è la prova che Snyder, pur possedendo un innegabile talento artistico, per raggiungere risultati accettabili deve affidarsi a qualcuno che sappia raccontare una storia, oltre che metterla in scena.
Gli stessi personaggi, per quanto accattivanti nell’immediato, si riducono presto a figurine prive di spessore, non abbastanza carismatiche da restare impresse nella memoria dello spettatore; ed è un peccato, perché il ricco cast, che unisce alcune fra le più promettenti attrici giovani del cinema anglofono (la bellissima e talentuosa Abbie Cornish su tutte) a collaudati professionisti come Carla Gugino, che aveva già interpretato un ruolo simile in Watchmen, e Scott Glenn, indimenticabile caratterista di tanti film d’azione degli anni Ottanta, avrebbe garantito risultati perlomeno interessanti, se avesse avuto modo di misurarsi con un copione meno stereotipato. Molto discutibile, infine, la colonna sonora, composta in prevalenza da rielaborazioni in chiave attuale di classici del rock (di Eurythmics, Queen, Jefferson Airplane, Beatles ed altri) da parte di artisti contemporanei, con la collaborazione vocale degli stessi attori.
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Leonardo L. | ||
4 |
Regista: - Sceneggiatore:
Cast:
C’è da chiedersi se sia davvero così difficile realizzare un blockbuster con una caratterizzazione psicologica non dico approfondita, ma almeno decente… Evidentemente il pubblico è sempre più esigente riguardo agli effetti visivi, ma sempre più assuefatto al piattume narrativo!
già Il Regno di Ga’ Hoole lo avevo trovato superficiale, ma questo…
decisamente il peggiore!
e a parte i 5/10 minuti iniziali in cui con grande maestria descrive la cattiveria del padre, l’ho trovato banalissimo e scontato!
Mi trovi completamente d’accordo, non saprei cosa aggiungere a quanto detto da te.
Ho trovato estremamente ripetitivo il meccanismo delle visioni create dalla danza di Babydoll, sempre uguale e un po abusato.
Dei quattro film visti di Snyder, questo è sicuramente il peggiore.