Westworld, il pilot: fin qui, tutto bene
È iniziata la serie HBO prodotta da J. J. Abrams e firmata da Lisa Joy e Jonathan Nolan
Dopo una lunghissima attesa è arrivata Westworld, serie HBO con l’hype da “prossima cosa figa”. Perché tanto clamore? È prodotta da J. J. Abrams, padre di Lost e dell’ultimo Star Wars. È scritta dalla coppia formata da Lisa Joy (Pushing Daisies) e dal marito Jonathan Nolan, noto al mondo per aver collaborato ad alcuni dei più bei film del fratello Christopher, come Memento, The Prestige e Il cavaliere oscuro. Le premesse per uno show eccellente ci sono, anzi, sono così tante da far temere la delusione.
Il pilot è andato in onda anche in Italia, su Sky Atlantic. Abbiamo a che fare con un mix di generi, basato sulla fantascienza abbinata al western. L’idea originale è di Michael Crichton, perché Westworld si ispira a un suo film del 1973, Il mondo dei robot. Quando si parla di robot, spesso il tema principale è la loro ribellione: sono i figli dell’uomo, ma anche i suoi schiavi; la loro intelligenza artificiale non è considerata degna di dignità e rispetto. Soffrono, si rivoltano. È una situazione tipica della fantascienza, da Asimov ai giorni nostri, e ha ancora molto da dare e da dire – basta guardare serie come Humans e Äkta människor per capire l’attualità della domanda: “Cosa definiamo umano?”; perché siamo inclini a togliere lo status di umanità a chiunque sia difforme da un’idea arbitraria installata nella nostra testa. Un esempio facile: la percezione che abbiamo delle persone che muoiono nei nostri mari, talmente deformata da portare molti a contestare la necessità di recuperarne i cadaveri.
Il pilot di Westworld ci mostra subito degli androidi che potrebbero essere senzienti, e le cose terribili che succedono loro. Non è un caso se il sottotitolo italiano recita: “Dove tutto è concesso”. Svetta su tutti la figura femminile interpretata da Evan Rachel Wood, potenziale Spartacus futuribile: femmina, robotica, postumana. Rigorosamente bianca, questo è vero. Non siamo in un romanzo di Octavia Butler (purtroppo). Nel mondo di Westworld esistono anche altre rappresentazioni, ma nel pilot sembrano marginali, non protagoniste.
Fatti tutti i conti, il primo episodio fa presagire una buona serie. Riesce a evitare il western farsesco di Ritorno al futuro III, fa pensare più a quello weird della Torre Nera di Stephen King. Apre questioni sui piani della realtà della storia a cui assistiamo: fa pensare a un film come Il tredicesimo piano, un riferimento che potrebbe rivelarsi fondamentale negli episodi futuri. C’è un plastico che richiama alla mente i giorni di Perky Pat e le stimmate di Palmer Eldritch, firmate da Philip K. Dick. Per ora solo in controluce, c’è tutta la fantascienza degli ultimi anni (Greg Egan, Charles Stross…), a lasciar presagire un mondo digitale che potrebbe contenerne uno pseudo-fisico. E poi ci sono i misteri misteriosi, le domande frustranti che ci tengono agganciati a una storia: detrattori di Lost, astenetevi, il rischio è concreto.
La strada è ancora lunga, ma per ora Westworld si propone davvero come la figata che ci avevano promesso.
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