Godzilla: la recensione
Asettica riproduzione hollywoodiana di un'icona culturale nipponica
A sessant’anni esatti dalla sua prima apparizione nel classico Gojira di Ishirō Honda, Godzilla torna sullo schermo in un reboot diretto dal britannico Gareth Edwards che, facendo piazza pulita degli innumerevoli sequel (più o meno trash) di produzione nipponica e del brutto remake hollywoodiano del 1998 diretto da Roland Emmerich, si ricollega direttamente al prototipo del 1954, cercando di riprenderne i toni seri e cupi e una certa angoscia di fondo, figli del terrore post-atomico che colpì il Giappone dopo Hiroshima.
Edwards, regista di una certa personalità, replica l’espediente cinematografico alla base della sua opera d’esordio, l’ottimo sci-fi Monsters, non mostrandoci da subito il lucertolone, ma giocando sull’attesa che si crea attorno a lui, in un’atmosfera plumbea da vigilia dell’apocalisse a cui gli umani non possono opporsi. Se è apprezzabile la scelta di riportare al centro della vicenda il discorso sugli esperimenti nucleari, rispetto ai quali Godzilla si pone come una sorta di difesa ultima del pianeta (i cui scopi vanno ben oltre le paure dell’umanità, fino a ristabilire l’equilibrio della natura, alla stregua di un dio), alla lunga ci si perde in una narrazione poco avvincente che, negandoci di continuo il piacere di vedere il rettilone, finisce per metterlo irrimediabilmente fuori fuoco. L’interesse e la tensione reggono bene solo per la prima mezz’ora (eccellente il prologo) – fin tanto che è in scena lo scienziato americano, paranoico e disperato, interpretato da un Bryan Cranston memore dei fasti di Breaking Bad – per poi affievolirsi e sfiorare spesso lo sbadiglio nella parte centrale: fra spiegoni evitabili e qualche brutto buco di trama (il piano di difesa fa alquanto sorridere), si concede troppo spazio agli eroismi del figlio dello scienziato, un ufficiale esageratamente granitico, con mogliettina infermiera trepidante (personaggi ai quali non rende un buon servizio la recitazione monocorde di Aaron Taylor-Johnson ed Elizabeth Olsen, che vedremo presto in The Avengers: Age of Ultron nel ruolo di Quicksilver e Scarlet), a discapito di tutto il resto.
Godzilla domina la scena solo nell’ultima mezz’ora, protagonista di sequenze innegabilmente spettacolari, con la baia di San Francisco trasformata in un’arena per mostri, e in un paio di momenti, che citano i combattimenti dei film originali giapponesi, ci si diverte anche, ma è un po’ poco. Chi fosse partito con l’idea di assistere a due ore di epiche lotte fra Kaiju rimarrà abbastanza deluso: siamo lontani dalla tamarrata nostalgica, emotivamente carica e culturalmente assai rispettosa, messa in atto da Guillermo Del Toro con Pacific Rim. Sorge invece spontanea l’impressione di assistere, più che a un omaggio, a una riproduzione asettica da parte di Hollywood di un’icona cinematografica tipicamente nipponica, ma adattata per un pubblico prettamente occidentale, che per troppo tempo resta sullo sfondo rispetto all’eroe americano di turno – tutto Dio, patria e famiglia – smarrendosi ogni senso filologico dell’operazione. Anche l’ecumenico cast di nomi prestigiosi appare fuori forma – svogliato Ken Watanabe nel ruolo dello scienziato giapponese, che snocciola aforismi in cui dovrebbe risiedere la morale della storia, e che gode comunque, nell’edizione italiana, dell’ottimo doppiaggio di Hal Yamanouchi – o sottoutilizzato – con Juliette Binoche che appare solo per pochi minuti nella parte della moglie di Cranston – in quello che sarebbe dovuto essere un blockbuster d’autore, ma si traduce in un compitino senza infamia e senza lode, troppo freddo per risultare davvero coinvolgente e troppo carente nella sceneggiatura per funzionare come film d’essai.
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