Humandroid: la recensione
Humandroid è il terzo lungometraggio del sudafricano Neill Blomkamp, già regista di District 9 ed Elysium e futuro padre del nuovo Alien. Il protagonista qui è Chappie, robot poliziotto in una Johannesburg dove metropoli e bidonville significano la stessa cosa. A innescare la trama due eventi: Chappie cade nelle mani di una banda di criminali allo sbando, e viene hackerato dal suo stesso creatore per rinascere con una vera e propria coscienza, candido e ingenuo come un bambino.
Pur rifacendosi al piccolo cult anni ’80 Corto circuito (più che a Robocop), Blomkamp colloca le sue premesse in uno scenario d’azione violenta la cui dimensione fantascientifica non cancella alcune, seppur vaghe, corrispondenze con la realtà – proprio in questi giorni Johannesburg è teatro di scontri sanguinosi. Ma non c’è xenofobia in Humandroid, la guerra è di tutti contro tutti; polizia, colossi informatici, trafficanti di droga, tutti si combattono, e tutti fanno del male a Chappie.
Gli abusi più strazianti arrivano proprio dalla banda che lo ha adottato. Il gangster Ninja lo sottopone a terribili prove allo scopo di indurirne il carattere troppo tenero, mentre la bionda Yolandi cerca di arginare la ferocia del compagno. Il film ha una sua effettiva originalità proprio perché sotto la crosta sci-fi si cela un romanzo di formazione “gangsta”, che ha per protagonista non un giovane delle favelas, ma un robot. Purtroppo, questa è un’arma a doppio taglio, perché la sceneggiatura non regge le sue stesse ambizioni. La formazione di Chappie non lo conduce a nessuna particolare consapevolezza o evoluzione, nemmeno davanti alla scoperta della propria mortalità; la vicenda non entusiasma, e non palesa mai la sua reale necessità fantascientifica: perché il protagonista deve essere un robot? La storia non indaga l’intelligenza artificiale, né solleva interrogativi sulla coscienza, sulla sua riproducibilità, sulla sua origine. E attori come Sigourney Weaver e Hugh Jackman attraversano la pellicola senza una vera ragione per trovarsi lì.
Humandroid è una storia di cattivi padri e di educazione alla violenza, basata su quella che in fondo è solo una trovata, e che fa confusione anche sui temi che approfondisce. Se nella prima parte mostra la mentalità machista e gretta dei suoi protagonisti, nella seconda li assolve, li mostra come eroi. La gang è la vera famiglia di Chappie, proprio quella famiglia che ne ha abusato fino a incattivirlo e trasformarlo in violento. I personaggi principali sono interpretati dai membri dei Die Antwoord, piccole star della scena rap-rave. I musicisti replicano qui le macchiette che portano sullo schermo nei loro stessi videoclip: Ninja è il duro di strada, tatuato e con gli occhiali da zarrone piantati dietro al cranio, mentre Yolandi è la bambolina cyberpunk dalla voce infantile. La loro è un’estetica che sembra arrivare a razzo dagli anni ’90, patinata da uno spirito dark traslucido anch’esso non proprio originale.
In definitiva, nonostante qualche intuizione fuori dagli schemi, Humandroid non decolla mai, e le sue pulsioni disturbanti si risolvono in irritazione.
Sara M. | ||
5 1/2 |