Lo hanno chiamato Sonygate o Sonyleak, ovvero il più grande attacco hacker mai sferrato a una major cinematografica. Insoliti ignoti si sono intrufolati nelle mail di Sony rubando e rendendo pubbliche informazioni e indiscrezioni. Le prime notizie arrivate ai media riguardavano più che altro gossip e cattiverie sui divi, come il commento «mocciosa viziata senza talento» scritto dalla presidente del colosso Amy Pascal, riferito ad Angelina Jolie e indirizzato al produttore Scott Rudin. Bollata come curiosa vicenda dai risvolti rosa, la notizia ha riempito qualche trafiletto di quotidiano, qualche articolo web con ottima indicizzazione e le risate di cinefili e appassionati di informatica. Poi la bomba.

Il cyber attacco sarebbe stato sferrato da hacker al soldo della Corea del Nord come ritorsione nei confronti del film The Interview, in cui un giornalista e il suo producer, James Franco e Seth Rogen, vengono invitati a Pyongyang dal dittatore Kim Jong Un, e per questo reclutati dalla Cia per farlo fuori.

Succede così che, a differenza del mantra da film, l’America decida di scendere a patti con i terroristi, e The Interview viene bloccato: nessuna uscita, prevista in patria per Natale (in Italia a febbraio), né in sala né sulle piattaforme Vod. In pratica come se la United Artists avesse accettato di non far uscire Il grande dittatore per pressioni da parte di Hitler, o, forse più calzanti, la Fox avesse bloccato Hot Shots 2 a causa di Saddam o Team America – World Police per evitare di sbeffeggiare Kim Jong Il (vedi filmato).

C’è chi ha pensato a una bufala, a una bugia ben orchestrata dai servizi segreti americani (i nordcoreani non sembrano essere pronti in materia cyberterrorismo), chi ha incolpato i cinesi, chi ha adombrato la furba operazione di marketing. A guardare bene i fatti, l’hacking è comprovato e Sony ci ha perso parecchio, per non parlare della faccia dell’America forte e risoluta.

E infatti, dopo l’intervento di Obama (che Franco chiama Obacco sul suo Instagram) e l’indignazione dell’opinione pubblica, alcuni impavidi esercenti hanno richiesto il film e il giorno di Natale è uscito in circa 200 sale (poche per gli Usa), in Vod, e per ironia della sorte è attualmente uno dei titoli più piratati del momento. Lieto fine con incassi record.

Una vicenda da cui ci piacerebbe trarre costruttivi insegnamenti: il cinema rimane un media centrale capace di scaldare gli animi, le operazioni di marketing possono anche essere decise in corso d’opera, e i bravi esercenti (anche per guadagno) possono cambiare le sorti di un Paese. L’attacco a una major cinematografica ci ricorda che il cinema è una cosa seria, che incide sulle vite e sulle coscienze, e che andrebbe maneggiato con cura. Ovvero con leggerezza, gioia e allegria, andando sempre più a Sud della nostra cialtroneria. Perché se il senso del Natale, anche quello laico, è «pace in terra per gli uomini di buona volontà», lodiamo allora gli esercenti, novelli detentori della libertà di parola.

Scritto da Sara Sagrati.