Sherlock Holmes – Gioco di ombre: la recensione
Sherlock Holmes – Gioco di ombre, secondo capitolo della fortunata saga diretta da Guy Ritchie e interpretata da Robert Downey jr. e Jude Law, uscito nelle sale il 16 dicembre, inizia là dove finiva il primo, con Holmes sulle tracce del Professor James Moriarty. Quest’ultimo, luminare della scienza e genio del crimine, sembra essere al centro di una gigantesca cospirazione terroristica finalizzata a provocare una guerra su scala mondiale. Tocca al detective, con l’aiuto del riluttante dottor Watson e della bella zingara Sim, sventare il pericolo, fra rocambolesche avventure in giro per l’Europa.
Preceduto da una martellante campagna pubblicitaria, il seguito del fortunatissimo film del 2009 ispirato alla lontana ai personaggi creati da Arthur Conan Doyle ripropone all’ennesima potenza tutte le caratteristiche che decretarono il grande successo del prototipo, a cominciare dalla puntigliosa ricostruzione storica (in questo caso il 1891, in piena epoca vittoriana), sullo sfondo della quale si sviluppa un’improbabile vicenda dai tocchi steampunk: il risultato è un rutilante, chiassoso, talvolta confuso, ma almeno in parte godibile mix di complicati intrighi, azione frenetica e molta comicità demenziale, un minestrone più vicino allo spirito di James Bond e Mission: Impossible che a quello dei romanzi originali.
Sul piano registico, il talentuoso ma furbo Guy Ritchie, con un occhio allo stile e uno al box office, dà libero sfogo ai suoi vezzi autoriali (ralenti, accelerazioni, riavvolgimenti di pellicola, soggettive mozzafiato), accentuandone la componente videoludica, in particolare nelle scene di combattimento, in cui Sherlock e compagni, con le loro acrobazie, sembrano sfidare la forza di gravità (e la pazienza dello spettatore), soprattutto nella prima parte. A bilanciare il senso di saturazione provocato dal profluvio di effetti visivi, per fortuna interviene una sceneggiatura terribilmente complessa ma tutto sommato appassionante, che affida la soluzione del mistero all’intuito dichiaratamente soprannaturale dell’investigatore con la pipa, e nella quale trova anche spazio una riflessione non banale sulla natura bellicosa dei popoli e sui vantaggi che una guerra comporta per gli Stati.
Determinante, per la riuscita globale del film, il contributo degli attori, a cominciare da un Robert Downey jr. istrionico come non mai, un vero dominatore della scena, capace di passare dal registro grottesco a quello drammatico con naturalezza: particolarmente accentuate, a cominciare dal travestimento, le venature gay del detective, riproposte nel rapporto di odio-amore con il dottor Watson, un sobrio e dimesso Jude Law, con il quale non si contano i siparietti comici in cui litigano come una vera coppia. Più interessante il duello, di intelligenze prima ancora che fisico, fra Holmes e Moriarty (grazie anche all’ottima prova di Jared Harris, carismatico e insinuante), che si conclude con un crescendo vagamente hitchcockiano sulla terrazza di un castello svizzero, nella sequenza forse più riuscita dell’intera pellicola. Un po’ in ombra, invece, appare qui Noomi Rapace, che nonostante la perfetta aderenza fisica e caratteriale al personaggio della zingara, non riesce a ritagliarsi lo spazio necessario per rendere memorabile la sua partecipazione.
La formula Sherlock Holmes, così intesa, sembra comunque non avere stancato il pubblico, infatti Gioco di ombre è risultato primo in classifica nel weekend di Natale, con buona pace dei cinepanettoni nostrani e di chi rimpiange la versione classica, dall’aplomb impeccabile, dell’investigatore di Baker Street.
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Vero, le donzelle non sono particolarmente significative in questo film (ma del resto anche nei libri non erano molto presente, Irene Adler compare in un solo racconto, pur guadagnandosi l’ammirazione di Holmes). Robert Downey Jr. non è il mio genere, ma tanto mi sa che i nostri interessi estetici coincidano solo in pochi casi (tipo Fassbender 😉 ). Dell’intervento della Pearson dovrei avere gli appunti, la prossima volta che ci vediamo ti dico cosa ho scritto (non molto, immagino – era mattina 🙂 ).
io guardo volentieri pure Robert Downey a dire il vero. ecco sì, Noomi Rapace non mi ha detto molto, ma penso che il problema sia anche la scrittura del personaggio, un po’ superficiale. l’interesse degli sceneggiatori è chiaramente la bromance, Moriarty e le super scene d’azione, peraltro molto riuscite. mentre l’incidenza dei personaggi femminili nel film beh, è praticamente inesistente.
Alice, avevo dimenticato l’intervento della Pearson su Sherlock! mi sa perché avevo fatto gran fatica a seguirlo 😛 aspetto la pubblicazione online delle clip per riprovarci.
Se è per quello, dal mio punto di vista anche Noomi Rapace si guarda volentieri, per quanto trovi più affascinante (e non solo come aspetto fisico) Rachel McAdams, attrice dal talento non eccezionale, ma più consona al ruolo. La Rapace, per quanto interprete sopraffina, è apparsa un po’ spaesata nel film, come ho scritto nella recensione il suo personaggio non ha avuto occasione di emergere più di tanto, anche per via della sua marginalità nella vicenda.
Le rivisitazioni, se fatte bene, possono essere apprezzabilissime (e sono sicura che adorerò Sherlock – per altro se ti ricordi, Chiara, ne parlava anche Roberta Pearson a Media Mutations!). Quello che proprio non mi convince è la virata “magicheggiante” dei due film, soprattutto le sequenze velocissime dei processi mentali di Holmes,come già dicevo. Una cosa è rivisitare, un’altra è far venir meno il fulcro assoluto dell’idea originale… mi piace, ma per me è un altro film. Non so, come se Forrest Gump corresse veloce perché è il figlio segreto di Flash. Ma ti do ragione, notevolissima rappresentazione del bromance (e Jude Law si guarda pure volentieri) 🙂
In fondo Sherlock Holmes è uno dei personaggi più rivisitati di sempre. Spero che gli integralisti di Conan Doyle si siano messi l’animo in pace ormai 🙂
Evidentemente il personaggio, con gli accorgimenti necessari per renderlo consono al gusto del presente, ha ancora molto da dire, proprio perché è mitico e carismatico, ma al tempo stesso sa rinnovarsi. Il che non è male, nonostante immagino che i fan più integralisti del personaggio letterario abbiano considerato entrambe le rivisitazioni come bestemmie.
Ho recentemente visto il fim, e devo dire che me lo sono goduto parecchio. Forse niente a che vedere con lo Sherlock letterario, ma ho apprezzato molto sia la “bromance” Sherlock/Watson, sia la parte action, sia Moriarty, un Cattivo come si deve.
In tema di rivisitazioni sherlockiane, la serie tv inglese Sherlock (appena finita la seconda stagione) sta spopolando tra gli appassionati (di serie e di Sherlock Holmes), ed è considerata da tanti una versione molto più fedele al personaggio letterario, nonostante si svolga ai giorni nostri. Io non conosco abbastanza Conan Doyle, certo anche nella serie Sherlock Holmes è una sorta di genio assoluto che tutto vede e tutto sente.. Interessante comunque che siano spuntate quasi contemporaneamente due rivisitazioni di Sherlock, e che tutte e due abbiano tantissimo successo.
Beh, diciamo che questo Sherlock riflette l’epoca in cui è stato girato: d’altra parte, fra supereroi di vario genere, maghi, vampiri (vegetariani e non), doveva pur ritagliarsi il suo spazio, no? 🙂
Non penso che il film sia troppo lungo ma sono d’accordo: in questo come nel precedente le intuizioni di Sherlock sono troppo immediate. Questo secondo me toglie parecchio al fascino del personaggio, lo rende troppo un supereroe dalla super vista.
E’ vero, è bello che si ponga l’accento sugli aspetti controversi di Holmes (che se fosse esistito sarebbe stato un bel personaggino con cui interagire!). L’effetto-videogame nel complesso non mi dispiace, solo che mi sembra un altra storia! Sulla lunghezza ho raccolto vari pareri negativi in sala, è vero che i ritmi concitati non permettono quasi mai al film di trascinarsi, ma mi rimane comunque l’impressione che bastassero venti minuti buoni in meno. De gustibus! E onore a Moriarty!
Grazie del commento, Alice. Capisco le tue riserve: in effetti, chi ama le storie di Holmes per l’uso sopraffino che l’investigatore fa del proprio intelletto per risolvere i casi (spingendosi comunque, come hai giustamente sottolineato, a livelli inarrivabili), potrebbe storcere il naso, di fronte a questa versione del personaggio quasi fumettistica, che si affida invece a capacità dichiaratamente superumane. Trovo positivo da qual punto di vista, invece, il fatto che gli aspetti più controversi del personaggio (la trascuratezza fisica, l’ambiguità sessuale, la smodatezza nell’uso di alcool e droghe, l’abilità nei combattimenti corpo a corpo), di cui si parla nei romanzi ma che erano stati pressoché rimossi dalle vecchie trasposizioni cinematografiche, appaiano invece qui sviluppati al massimo, anche se forse in maniera esagerata in alcuni casi. La lunghezza, comunque, non mi ha infastidito, e Moriarty è un cattivo davvero fantastico, altro che il maghetto del primo film!
Recensione puntuale e molto ben scritta. Condivido quasi tutto, ma ho più riserve: non che si debba riproporre il personaggio di Sherlock in modo sempre identico, ma Guy Ritchie mi toglie in toto il gusto del gioco intellettuale (in questo film così come nel precedente). La bellezza del dipanarsi della matassa sherlockiana così come l’ha costruita Doyle sta proprio nell’uso della logica, che, pur essendo proposta a livelli inarrivabili per i comuni mortali, rimaneva comunque al di qua del confine con il soprannaturale. Qui le intuizioni sono ridotte a vertiginose sequenze d’immagini che si consumano in pochi secondi; trovo quindi che si tratti di un film d’azione discreto, che però non ha nulla a che vedere con l’eroe di Baker Street. Inoltre si poteva ridurre un po’ la lunghezza, dato che i 128 minuti non dipendono da un tentativo di fedeltà ai romanzi. Che dire, almeno stavolta ci hanno messo Moriarty!