Opinioni, sensazioni e visioni cinefile direttamente da Torino.

Si è concluso questa sera alle 21.00, con la vittoria di “Tomboy“, il 26° Torino GLBT Film Festival. Ecco il diario della nostra esperienza come spettatori della rassegna cinematografica GLBT più importante d’Italia.

Iniziamo subito dai film sui quali vale la pena spendere 2 parole…

All about evil

Presentato nella sezione “Midnight Madness” e diretto da Joshua Grannell, la drag queen Peaches Christ, “All about Evil” è un tributo al cinema di serie B statunitense. Un po’ horror, un po’ kitsch, un po’ gore, la riuscita di questo godibilissimo film si nasconde in tutti questi po’. La giovane Deborah, fanciulla completamente squilibrata, per salvare il cinema di famiglia inizia a realizzare dei corti di genere girati dal vivo, dei veri e propri snuff movie ad alto tasso di emoglobina, che riporteranno in auge la sala cinematografica ereditata dal padre. Attenzione: considerando l’orario di proiezione notturna, 00.30, né io né Rossella siamo riusciti ad arrivare alla fine (il nostro cuore grondava sangue dal diaspiacere). Per eventuali lamentele rivolgersi a Giusy, colei che ci ha abituato a seguire i film In orario.  Love Giusy.

Cibrâil

Presentato nella sezione binari lungometraggi la pellicola racconta la storia di un uomo attratto dal cugino della sua fidanzata. Se fossimo a scuola la votazione più giusta sarebbe N.C., non classificabile. Quello che manca è l’abc della regia (campo/controcampo): il regista tedesco Thor Iben, infatti, tedia lo spettatore con una serie di scandalosi errori talmente grossolani da far sembrare Uwe Boll un grande cineasta. Nessun segno di autorialità, non c’è anima in nessun fotogramma. E se la continua, e generosa, nudità dei protagonisti dovrebbe compensare la totale inutilità della pellicola (’70 minuti molto lunghi) i due attori sono più basiti che sensuali. Piccola consolazione, per noi e forse anche per il regista, la pellicola, involontariamente, fa molto ridere. Il pubblico in sala ha esultato all’accendersi delle luci in sala.

Fit

Dal regista queer del telefilm “Metrosexuality”, Rikki Beadle-Blair, la storia, in stile “Skins”, di sei adolescenti che frequentano una scuola di ballo. Il regista viene dal mondo delle serie televisive e si vede; il suo Fit, infatti, è un film girato a episodi che ci porta all’interno della vita, disagiata, di sei giovani inglesi. Le storie raccontate, spesso, sembrano lasciate a se stesse senza una vera conclusione, ma forse quello che interessa al regista non è raccontare una storia con un inizio e una fine, ma catturarne solo un piccolo spaccato. Il film è impregnato di un forte valore didattico che potrebbe andare benissimo nelle scuole per raccontare gli stati d’animo degli adolescenti alle prese con le problematiche glbt. Sezione binari lungometraggi.


Hua Wei Mei (Bad Romance)

A Pechino tre storie d’amore, idealizzate, si intrecciano tra suonerie di Lady Gaga e vetrine di Versace. Melodramma, a tratti affascinante e coinvolgente, ma dalla sceneggiaura esile in cui solo la storia gay (le altre due sono incentrate su una coppia etero e un triangolo) risulta abbastanza convincente. La pellicola è stata girata sullo sfondo di una Cina occidentalizzata, ma nonostante la parvenza di libertà omosessuale avanzata nel film (i due protagonisti si danno liberamente la mano nei bar e si dedicano serenate per strada), la pellicola è stata dichiarata illegale in patria e di conseguenza non potrà mai essere proiettata nelle sale a causa della presenza di un amore gay, con relative scene di sesso troppo scabrose e taboo per il pubblico cinese. In concorso lungometraggi.


Parigi o cara

Per un amante dei festival, le retrospettive sono da sempre tra le sezioni più interessanti di una rassegna cinematografica per il loro valore di rivalutazione e (ri)scoperta di un’opera. E’ il caso di “Parigi o cara” di Vittorio Caprioli, film italiano, disperso, del 1962. Una magnifica Franca Valeri è la protagonista assoluta di questo piccolo gioiellino anti-neorealista, tutto camp: la pellicola narra la storia di Delia, una donna un po’ snob, la quale si reca a Parigi dal fratello, in cerca di nuovi orizzonti. Tutto il film gioca sul non detto attraverso una comicità irresistibile cucita addosso alla protagonista (alla sceneggiatura ha collaborato anche la Valeri). Un gioiello da riscoprire presentato in “Vintage Italia 150: il nostro risorgimento“.


Romeos

How do you love someone, if you don’t show, who you are? recita il poster del film. In concorso lungometraggi, Romeos, diretto dalla regista tedesca Sabine Bernardi, è stato uno dei film rivelzione di questa 26° edizione. La pellicola racconta la storia di Lukas, un giovane transessuale F to M, il quale si innamora del giovane e maschile Fabio. Un esempio di ottima regia e sceneggiatura calibrata, in cui si intrecciano diversi generi, al servizio di una storia, non semplice, raccontata con estrema delicatezza e ritmo, in grado di conquistare anche un pubblico non prettamente GLBT. Un inno scanzonato a lottare per la propria identità, oltre i confini di (trans)genere.


We Were Here

Un documentario sulla tragica epidemia di Aids che colpì Los Angeles all’inizio degli anni ’80, raccontata attraverso i ricordi di alcune testimonianze. Il regista David Weissman confeziona un lungometraggio costruito per provocare un fiume di lacrime tra gli spettatori. Occorre una diga per fermare l’acqua in eccesso. Questo espediente, furbetto, risulta infine un po’ fastidioso: la commozione degli intervistati e reale e toccante, ma per 90′ lo stile registico non fa altro che cercare la commozione del pubblico. Poco onesto nella struttura, ma interessante per lo spaccato di vita che porta sullo schermo. Concorso documentari.

Per quanto riguarda i cortometraggi, invece, una menzione va a Eu Não Quero Voltar Sozinho e Uniformadas, entrambi con un cast di giovanissimi interpreti. I due corti esplorano con delicatezza alcune fasi dell’ adolescenza: la ricerca di se stessi, il primo bacio e il primo amore… ovviamente, GLBT.

E ora, rullo di tamburi, ecco i vincitori di questa edizione:

Concorso Lungometraggi
La giuria composta dal regista e sceneggiatore Carmine Amoroso, la giornalista Maria Pia Fusco, lo scrittore Gianni Farinetti, il regista Mehdi Ben Attia e la regista Pratibha Parmar assegna all’unanimità i seguenti premi:
Premio Ottavio Mai a Tomboy di Cèline Sciamma (Francia). Motivazione: “Nella varietà dei film in concorso di questa edizione 2011 del festival Da Sodoma a Hollywood, la giuria dei lungometraggi ha deciso all’unanimità di assegnare il primo premio al film Tomboy di Cèline Sciamma per maestria, sensibilità e leggerezza, ma anche per la profondità con cui viene trattato il tema dell’identità sessuale nel tempo dell’infanzia”.

Menzione Speciale a 80 egunean (80 giorni) di Jon Garaño e Jose Mari Goenaga (Spagna).  Motivazione: “80 egunean di Jon Garano e José Mari Goenaga, un film con indimenticabili protagoniste, due donne non più giovani che, ritrovandosi, rinnovano la loro amicizia e un amore finalmente svelato”.

Concorso Documentario
La giuria composta da Henrik Neumann (programmer del Mix Copenhagen LesbianGayBiTrans Film Festival), Riccardo Amorini (Fandango)  e Daniele Segre (regista e docente universitario) ha così deciso:

Premio Miglio Documentario a We Were Here di David Weissman (USA). Motivazione: “Per la qualità dell’opera filmica, per i contributi storici e per la capacità di raccontare e testimoniare in modo adeguato, forte e necessario l’epidemia di AIDS nella comunità gay di San Francisco all’inizio degli anni ’80”.
Menzione Speciale a XY Anatomy of a Boy di Mette Carla Albrechtsen (Danimarca). Motivazione: “Per la ricerca del linguaggio della rappresentazione  tra finzione e realtà e l’originale messa in scena della storia che racconta con grande delicatezza un’intimità forte. Un vivo apprezzamento per l’impegno della Scuola Nazionale di Cinema della Danimarca nel produrre questo film”.

Concorso Cortometraggi
La giuria, composta da Lene Thomsen Andino (coordinatrice presso il Mix Copenhagen LesbianGayBiTrans Film Festival e collaboratrice del Danish Film Institute), João Federici (co- direttore del GLBT Festival Mix Brasil de Cinema da Diversidade) e il regista Max Croci ha assegnato:

Premio Miglior Cortometraggio a Plan Cul di Olivier Nicklaus (Francia). Motivazione: “Perchè è il film che noi vorremmo avere  nella nostra collezione privata e che vorremmo rivedere con i nostri amici. è una commedia brillante con un timing perfetto. E dopo tutto si tratta di una questione di vita o di morte o meglio di sesso o di morte”.
Menzione Speciale a Eu Não Quero Voltar Sozinho (I don’t want to go back alone) di Daniel Ribeiro (Brasile). Motivazione: “La giuria è stata toccata dal cast e in particolar modo dal protagonista. Gli autori del film ci portano una tradizionale storia d’amore tra adolescenti ma con un originale punto di vista”.
Menzione Speciale a The Colonel’s Outing di Christopher Banks (Nuova Zelanda). Motivazione: “Il film è divertente e toccante allo stesso tempo. Merita una menzione speciale perché ci ricorda che non è mai troppo tardi per fare il coming out”.

Premi del Pubblico
Miglior Lungometraggio: Tomboy di Céline Sciamma (Francia)
Miglior Documentario: 365 Without 377 di Adele Tulli (Italia)
Miglior Cortometraggio: Eu Não Quero Voltar Sozinho (I Don’t Want to Go Back Alone) di Daniel
Ribeiro (Brasile)

A domani con la seconda e ultima parte del nostro diario del 26° Torino GLBT Film Festival.

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