Tomcat (Kater): la recensione
L'insostenibile precarietà della felicità secondo Klaus Händl
Vincitore del Teddy Award alla Berlinale 2016 e presentato in anteprima italiana al torinese TGLFF, dove è stato uno dei film che ha ottenuto più apprezzamenti, Tomcat (Kater) dell’austriaco Klaus Händl è una ricognizione, allo stesso tempo rigorosa e partecipata, sull’assoluta precarietà dei sentimenti e dei rapporti, e sulle inaspettate e clamorose deviazioni che momenti isolati e clamorosi possono far prendere alle interiorità.
Andreas (Philipp Hochmair) e Stefan (Lukas Turtur) sono due musicisti che suonano nella stessa orchestra. Il loro rapporto supera però quello tra due semplici colleghi: i due si amano e convivono in un’elegante villa, spesso circondati da amici e soprattutto con la compagnia di un gatto adorato e riverito (il felino pare nella prima parte quasi il protagonista). L’idillio e la felicità in cui i due vivono viene improvvisamente e inaspettatamente spezzata una mattina, quando Stefan è vittima di un clamoroso scatto di follia, che dura poco meno di un attimo, ma che avrà effetti devastanti sulla coppia e sulle interiorità di entrambi. Andreas inizia infatti a essere diffidente e rancoroso verso il compagno, atteggiamento che però convive con la sofferenza di chi continua ad amare l’altro e cerca di aiutarlo. Dal canto suo, Stefan è scioccato e spaventato dal suo inaspettato gesto e dal timore di compiere nuovamente un atto simile; a tratti pare odiarsi e perdere gradualmente contatto con la realtà.
Händl ha come riferimento principale il cinema del connazionale Michael Haneke, depurandolo però del cinismo e del sadismo che il più celebre connazionale ha dimostrato verso i suoi personaggi, anche quando non c’era la motivazione di una critica sociale o culturale di fondo (si vedano i malcapitati anziani di Amour, il film di Haneke che più può essere avvicinato a quello di Händl); c’è lo stesso distacco da antropologo da parte del regista e c’è la stessa assoluta e implacabile sincerità nello sguardo con cui vengono rappresentate le derive interiori e il deteriorarsi dei rapporti, ma in Tomcat c’è anche molta più partecipazione, pietas ed empatia nei confronti dei due protagonisti. Nessuno dei due sembra mai essere messo davvero sotto i riflettori dell’accusa, anche quando le atmosfere sono più cupe, lo scontro è più duro e la narrazione pare avvicinarsi all’ennesimo “carnage” tra le mura domestiche a cui spesso si è assistito nel cinema degli ultimi anni.
Proprio perché non è un atto d’accusa “senza se e senza ma”, ma semmai una precisa ricognizione sulla precarietà dei rapporti e delle condizioni interiori che vede le condizioni di vittima e di carnefice mischiarsi, Tomcat è un film implacabile e a cui è impossibile sfuggire emotivamente e non tornarci con la mente nei giorni successivi; sia nei momenti più cupi e duri, in quelli più malinconici e in quelli in cui si intravede una certa tenerezza di fondo. Buona parte del merito va a Klaus Händl, capace di gestire con assoluta maestria una materia sotto più di un punto di vista scottante e di rifarsi a modelli più noti senza cadere nella trappola dell’imitazione, riuscendo anzi a differenziarsi in maniera decisiva. Importanti anche le prove dei due protagonisti, mentre il gatto dà un tocco in più che male non fa.
Edoardo P. | Giacomo B | ||
8 1/2 | 10 |
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