A Girl Walks Home Alone at Night: la recensione
Vampiri e fantasmi, tra Jim Jarmusch e il graphic novel
Distribuito dalla Academy Two, esce anche nelle sale italiane, dopo tre anni di ritardo, A Girl Walks Home Alone at Night, esordio di Ana Lili Amirpour, regista d’origine iraniana emigrata negli Stati Uniti. E’ un film molto affascinante e studiato a livello visivo e capace di veicolare, sottotraccia, metafore sociali più vaste. ll modello principale è il cinema di Jim Jarmusch, per la laconicità e la manipolazione dello scorrere del tempo, per la centralità di personaggi in qualche modo marginali e per l’eleganza stilizzata; non mancano però riferimenti alla cultura e alla struttura narrativa ed estetica dei graphic novel.
Nell’immaginaria “Bad City”, cittadina in mezzo al deserto fatta perlopiù di non-luoghi e di rovine, di notte si aggira una misteriosa presenza: una donna (Sheila Vand) ricoperta dal chador che si nutre di sangue umano, scegliendo però le sue vittime tra chi ha qualcosa da farsi perdonare o una colpa grave da espiare; come una giustiziera della notte. L’incontro decisivo è quello con il giovane Arash (Marshal Manes), personaggio combattuto tra la voglia di cambiamento e di fuga e gli obblighi che la realtà deprimente della cittadina fantasma sembra imporgli.
A Girl Walks Home Alone at Night è un film sotto certi aspetti certamente derivativo e citazionista – e le sequenze meno riuscite sono proprio quelle in cui la citazione appare più gratuita, come nel caso dei momenti ispirati a Sergio Leone e alle musiche di Morricone -, ma capace di spiccare nel filone del cinema con i vampiri protagonisti soprattutto perché riesce a trovare una via personale in mezzo alle numerose suggestioni da cui si nutre; le fondamenta horror si vedono soprattutto nelle atmosfere e nelle ambientazioni (il film si apre con una fossa comune piena di cadaveri) che il bianco e nero esalta nei loro aspetti più spaventosi e inquietanti e nell’efficace utilizzo della colonna sonora, in particolare dei rumori d’ambiente. L’horror rimane però un elemento di facciata, in qualche modo strumentale; il film infatti diventa presto da un lato una storia d’amore – o meglio: il racconto di un avvicinamento tra due figure ai margini -, introdotta dalla sequenza più intensa di tutta l’opera nella quale riecheggiano le note di Death dei White Lies, e dall’altro una rappresentazione della stagnazione, esistenziale e sociale.
Alla stagnazione sono infatti condannati gli abitanti della cittadina, che siano i due protagonisti o i comprimari negativi, spesso simboli (si veda il padre del protagonista maschile) del conformismo maligno e maschilista e della chiusura della società d’appartenenza. Sono personaggi che tirano avanti con la forza d’inerzia, come fossero fantasmi, in un’atmosfera che l’elegante stilizzazione formale e i riferimenti al mondo dei graphic novel rendono efficacemente straniante e metafisica.
Edoardo P. | ||
7/8 |