Cinema verità! Dziga Vertov!” – dice Paco Plaza, regista di Rec 3 – La genesi, interpretando nel suo stesso film il personaggio del cameraman con la steady incaricato delle riprese del matrimonio di Koldo (Diego Martìn) e Clara (Leticia Dolera): e per 20 minuti buoni, infatti, il formato del found footage, perfetto per scene da un matrimonio, si colloca sulla scia dei predecessori. Poi, una videocamera rabbiosamente scagliata al suolo; e, più tardi, la comparsa interpretata da Plaza tira le cuoia, ma non ad opera di qualche famelico zombie: si taglia le vene. Rec 3 è l’ironico harakiri del found footage, il cinema verità che si fa fiction spudorata, liturgia filmica dissacrata in un teatrino di sangue: un orrore così scoperto che non fa più orrore.

Koldo e Clara, dicevamo, ed il giorno più bello della loro vita. Il clima è conviviale, la lunga giacca dello sposo è giovanile, la cerimonia contempla persino una serenata con la chitarra in chiesa, gli amici dello sposo sono in assetto da playboy, la coppia balla tipo febbre del sabato sera. Uno zio, con la mano ferita per il morso di un cane, sembra troppo precocemente ubriaco. Rovinerà la fiesta, ma non per il tasso alcolico.

Per l’ennesima volta, benvenuti a zombieland. Perché, nonostante il tentativo di rianimare il genere sfruttando l’abile trovata della saga d’innestare sul filone zombie lo spunto esorcisticoreligioso, Rec 3 – La genesi smarrisce non poco della propria identità nel rinunciare al found footage, diventando un splatterone innocuo come tanti, anche se – beninteso – apprezzabile. Tutte le fiches sono puntate sull’intrattenimento, sull’horror d’avventura con risvolti comico-grotteschi, laddove i predecessori erano stati tra i film più terrificanti dell’ultimo decennio. Questo doppio rinnegamento, un detour che sa di vero e proprio twist stilistico, è però perseguito con coerenza da un Plaza orfano di Balaguerò, e forse anche sottilmente polemico. Una scena come quello dello zio frullato da un aggeggio di cucina dopo il corpo a corpo con lo sposo, con quel viso che sa tanto di pupazzone in lattice, appare dichiaratamente alla Sam Raimi: rimanda, cioè, a quella tradizione dell’horror divertito in stile La casa, una serie che con L’armata delle tenebre, ossia proprio il suo terzo capitolo, aveva abbracciato senza più traccheggi il tono dell’horror comedy.

Ecco, allora, l’angusto paesaggio di Rec 3, il ristorante con villa, popolarsi non solo di zombie – peraltro più maldestri che inquietanti, a differenza di Rec e Rec 2; bensì anche di personaggi al confine col macchiettismo, come se la Commedia dell’Arte si fosse intrufolata di soppiato nel granduignol: l’infiltrato della SIAE che prende a martellate uno zombie, insistendo fino all’osso, come a spolparlo; l’animatore semi-depresso vestito da Spongejohn (non Spongebob, per una questione di diritti SIAE…), che deve affrontare l’orda dei morti viventi in costume, perché sotto la spugna, niente; l’improvvisato luogotenente di Koldo, un pingue Sergente GarciaSancho Panza che accompagna lo sposo, vestito di cotta medievale. Un’armata Brancaleone, più che delle tenebre: ed i generali della tragi-horror-commedia sono proprio lo sposo, che si corazza come novello ed anti-epico San Giacomo, e la sposa, eroina sexy che impugna l’arma-clichè per eccellenza, la motosega.

Come in ogni buona festa dell’orrore, dunque, non manca l’animazione: a costo di rovinare il matrimonio Plaza-Balaguerò che così bene aveva funzionato all’inizio. Che la festa della paura sia andata a male, è confermato proprio dalla piega manifestata dal film sia in tutto il battage pubblicitario (basti dare un’occhiata al sito ufficiale, tutto bianco e rosa), sia nel prologo: l’enfasi sulla storia d’amore di Koldo e Clara. Questa horror soap, spudoratamente amplificata in corso d’opera, finisce per generare un singolare splatter mélo, con tratti di mielosa epica harmony: viene in mente, ancora, L’armata delle tenebre, con la celebre battuta di Ash, “dammi un po’ di zucchero, baby”, ma ripetuta in loop.

Con tanto miele, ma ancora una dose massiccia di sangue, il sapore, davvero, è agrodolce: Rec 3 – La genesi abbandona l’horror gourmet della saga, finemente misto di sangue, acqua santa ed adrenalina, deviando verso un gusto più pacchiano e bisunto, diversamente gradevole – per chi gradisca di questi toni. Eppure, siamo pronti a scommettere che la parodia di Paco Plaza – osiamo ancora: “garbatamente polemica” – non sarà raccolta da Jaume Balaguerò per Rec 4: Apocalypse. La sinossi ufficiale del film, col ritorno alla ribalta di Angela Vidal (Manuela Velasco), troppo compromessa in senso malefico per diventare caricaturale; il tweet di Balaguerò (“ci sarà molto rosso, ma anche molto blu”), che, insieme al titolo, fanno pensare ad un’ambientazione e ad un’atmosfera apocalittiche; la storia passata dello stesso regista, sempre composto e raffinato nella propria declinazione della paura: tutto questo, lascia presagire come Rec 3 – La genesi sia già morto e sepolto. Il film di Paco Plaza è un carosello piacevole, ma forse, per l’appunto, possiede il (limitato) carisma dell’interludio.

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Edoardo P.
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