Sono la bella creatura che vive in questa casa, che paura
Su Netflix un horror art-house asfissiante, lento e spaventoso.
Sono la bella creatura che vive in questa casa fa parte di quel filone horror art-house che sta sostituendo un genere, ovvero quello glorioso ma ormai putrefatto del found footage. Finiti i giorni delle camere traballanti e dell’infrarosso, ecco strutture narrative complesse e direzione artistica maniacale. Ben venga allora anche questo film, scritto e diretto da Osgood Perkins, figlio di Anthony aka Psycho. Debutto al Toronto Film Festival e distribuzione direttamente via Netflix, che si conferma videonoleggio 3.0: titoli direct to video, cose oscure e tanti film di genere tra i quali spesso si annida qualche stranezza e qualche perla rara.
Infatti il titolo, insolito quanto il film, ci guida nella categoria dello “strano ma buono” di Netflix. La storia è semplice; ci sono un’infermiera, una casa, una scrittrice senile di romanzi horror. Potrebbe diventare l’ennesima collezione di jump scare usa e getta, e invece. Come dice il Guardian, il film è pervaso dallo spirito di Shirley Jackson, tant’è che in una scena, il personaggio della scrittrice è fisicamente modellato sul look della grande autrice di ghost story.
Il film ha i tratti della video-arte, a partire dalle sequenze iniziali in cui immagini sfocate nel buio sono commentate dalla voice-over di Ruth Wilson, i cui bisbigli accompagnano tutto il film. Toni letterari, come una poesia di Poe, immagini pittoriche che richiamano i quadri di Bacon. I riferimenti di Perkins mirano sempre verso l’alto, con le prospettive centrali alla Kubrick e le soluzioni del primo David Lynch, protocollo Eraserhead. Non particolarmente originale, è vero, ma felicemente classico. E la sua collezione si ferma sempre un passo prima di diventare pretenziosa.
AV Club dice che il film riesce a costruirsi sul niente, ed è vero: si costruisce sui vuoti. Sappiamo che i personaggi chiave sono due, l’infermiera e la scrittrice, ma la seconda quasi non parla, appare poco, il suo peso non incide sull’esperienza dell’altra. Come nei racconti di Henry James e come in un gioco di parole, l’assenza è essenziale. Le inquadrature indugiano sul buio oltre i vani delle porte. È un ignoto che si annida nella casa di chiunque, è quel nero in cui l’occhio può perdersi fino a intravedere figure che non ci sono.
Ruth Wilson, interprete quasi esclusiva nel ruolo dell’infermiera Lily, è un’attrice inglese spesso calata in ruoli sull’orlo dell’abisso. È capace di avere la mimica facciale luciferina di Alice in Luther e la disperazione ingenua e ruvida di Alison in The Affair. In questo film, dà al suo personaggio tratti stupiti e trasognati che aumentano il generale clima di inquietudine in cui viene calato lo spettatore.
Come molti altri titoli recenti – The Witch e It Follows –, questo film si allontana dal trend dell’horror found footage. La paura si costruisce con mezzi tradizionalmente cinematografici, che non mimano la realtà, ma la filtrano e distorcono. Sono la bella creatura che vive in questa casa risulta un film asfissiante, lento e spaventoso, che potrebbe far dormire male qualcuno, e dormire e basta qualche altro.
Sara M. | ||
7 1/2 |