La stirpe del male: la recensione
Formula e temi abusati per l'ennesimo found footage senza nerbo
L’horror in presa diretta continua a registrare proseliti. Le videoregistrazioni ritrovate (found footage) segnano anche La stirpe del male di Matt Belinelli-Olpin e Tyler Gillett, ma il tempo in cui la scelta artistica – spesso abbracciata per parchi mezzi di produzione – era davvero l’ultimo ritrovato del brivido, sembra essere ai titoli di coda, almeno se s’intenderà perpetuare la progenie dei figliocci di Paranormal Activity con qualche spruzzata solforica d’Anticristo, assecondando le medesime tappe del pellegrinaggio all’inferno: una mezz’oretta d’ambientamento domestico, per familiarizzare con qualche sfortunato protagonista; la cauta comparsa dei fenomeni paranormali incontrollabili; il climax, in un clima di tensione crescente; il finale convulso, meglio se aperto. Scopiazzare non fa male (Godard parlava di furti artistici), ma se un filone già dissanguato dell’horror viene abbinato all’ultima moda, l’operazione diventa rischiosa: nessuna sorpresa che… non ci siano sorprese.
SPEGNETE QUELLA VIDEOCAMERA – Ricordate le scene da un matrimonio di Rec 3? Poi, per frustrazione, la videocamerina veniva spenta: addio al found footage nella saga horror meglio riuscita degli ultimi 10 anni, il film proseguiva da zombie-horror classicone. Anche ne La stirpe del male ci si sposa, ma le riprese non finiscono: Zach e Samantha filmano proprio tutto, viaggio di nozze compreso nella Repubblica Dominicana che risuona d’echi disco-voodoo. La mattina dopo una sbornia – ma le riprese sembrano parlare d’altro che di calici levati – continua il reality domestico. Qualche giorno dopo la lieta novella: lei è incinta, nonostante la pillola. Poi pillole sparse di paura, con qualche incidente al corso pre-parto, in chiesa, dal ginecologo, persino in un supermercato, dove Samantha – vegetariana – è inquadrata dalle telecamere di servizio mentre addenta come in trance un pezzo d’agnello crudo. Il parto si avvicina, mentre il maritino comincia a nutrire dubbi sull’identità dell’erede.
CENTO DI QUESTI FILM – I due registi de La stirpe del male erano pure co-autori dell’ultimo episodio d’uno degli ultimi found footage horror davvero interessanti (più che riusciti): lo sperimentale V/H/S, con altrettanto apprezzato sequel. La stirpe del male va interpretato anche all’insegna di quel precedente: in primis, perché la storia, per quanto banale, non è raccontata in maniera malvagia – mai termine più appropriato – ma verosimilmente si presterebbe a un’ulteriore riduzione, a funzionare come episodio di un film o di una serie tv, dove si fila con più agilità anche per trafile obbligate; in secundis, perché la storia ibrida proprio l’episodio di V/H/S (riti malefici, episodi di poltergeist, finto filmato) con Paranormal Activity. Senza gridare al plagio per ogni “nuovo” simil-horror, ma ci sono dieci minuti scarsi de La stirpe del male che sembrano presi proprio in prestito dal secondo capitolo della saga horror ideata da Oren Peli. Con una differenza sostanziale a detrimento del film neo-uscito: Paranormal Activity aveva il merito di essere partito come un ghost-movie su di una casa infestata, per poi prendere inaspettatamente una piega demoniaco-sabbatica, laddove la pellicola dei due cineasti è dichiarata negli intenti sin dall’inizio, e prima ancora dal marketing della 20th Century Fox.
PIU’ LAVORO E MENO IDEE PER TUTTI – Apprezzabile, certo, qualche tentativo di giocarsi fino in fondo una partita dalle carte fin troppo scoperte: vedi la variatio dei mezzi di ripresa (telecamere del supermercato, della polizia, di un gruppo di gitanti in un bosco, oltre che di moglie e marito) e l’atmosfera effettivamente mefistofelica delle ultime battute (che però, davvero, sanno di già visto: col progenitore di The Blair Witch Project compreso). Ma sarà forse un caso che alla fine dei titoli di coda compaia, singolarmente, una comunicazione di servizio sul fatto che la realizzazione e la distribuzione dell’opera hanno supportato 13.000 posti e richiesto molto lavoro? Come a dire: scusate se siamo ancora qui, a essere uguali agli altri, a prolungare una stirpe di gemellini. Nessun prescelto: resta un film come gli altri, auguri a chi ci ha lavorato e miglior fortuna agli spettatori per spettacoli venturi.
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