Intervista a Gabriele Albanesi: l’horror, dentro e fuori
Di recente abbiamo recensito Il bosco fuori e Ubaldo Terzani Horror Show del giovane regista Gabriele Albanesi, che presto rivedremo sul grande schermo con Kid in the Box.
In stile “stalker erranti”, abbiamo deciso di sottoporlo alla ghigliottina della nostra intervista. Ne è venuto fuori un dossier sull’horror italiano, sulla sua opera, sullo splatter, sulla new wave francese, sui found footage e tanto altro. Il Gabriele Albanesi horror show.
- All’inizio di Ubaldo Terzani Horror Show, c’è una sorta di dialogo “rivelatore”, per quanto in chiave ironica. Il produttore dice al suo autore: “Non siamo mica più negli anni ’80 (….) Le storie splatterose come piacciono a te, con tutto il sangue e le interiora che schizzano fuori, non sono più producibili… almeno non ora, e soprattutto non in Italia. Tu mi devi portare una storia che sia te-le-vi-sio-na-bi-le”. La domanda sorge spontanea come uno zampillo di sangue: quanto c’è di vero, in questa notazione, sulla tua esperienza biografica e sulle sorti attuali dello splatter italiano?
Il dialogo è assolutamente reale. Quando andavo in giro presso le produzioni per portare la sceneggiatura de Il Bosco Fuori, era la risposta che puntualmente ricevevo ogni volta. Ubaldo Terzani è una storia che nasce proprio come reazione al mio malessere di quegli anni, all’impossibilità di fare horror in Italia. In filigrana Ubaldo Terzani può infatti essere letto anche come il “dietro le quinte” della realizzazione de Il Bosco Fuori. Il protagonista del film rappresenta me stesso ai tempi difficili in cui cercavo di esordire con un horror italiano. La situazione comunque, al giorno d’oggi, non è certo cambiata, anche se nel circuito degli indipendenti si è creato molto più movimento.
- I tuoi cortometraggi (Braccati, Mummie, L’armadio) darebbero da pensare ad una prima rimeditazione su modelli italiani. Soprattutto L’armadio, con un uso dello zoom-in che ricorda Mario Bava (Shock?), mentre Mummie, a parte il riferimento egittizzante, forse casuale, a Manhattan Baby, evoca certe atmosfere “fulciane” (ottima la colonna sonora) e del primo Argento (le fughe per interni di Inferno e Tenebre). È anche vero che il bambino de L’armadio – e sei bravissimo a manipolare in senso orrorifico il tema dei bambini malefici – anticipa quello de Il bosco fuori. Cosa dicono della tua formazione quei cortometraggi, ma soprattutto cosa anticipano dell’Albanesi successivo?
I riferimenti che fai sono tutti assolutamente pertinenti. L’armadio guarda a una certa estetica baviana fatta di zoom un po’ sporchi e fotografia sgranata, mi ero ispirato soprattutto a Shock, Mummie è più elegante e c’è molto Argento nelle inquadrature e nel montaggio, l’ambientazione nel museo mi ha fatto guardare sia a La Sindrome di Stendhal che a Vestito per uccidere di De Palma. Sono entrambi degli esercizi stilistici, delle forme di apprendistato in vista del mio primo lungometraggio. L’armadio soprattutto nasceva come biglietto da visita per realizzare Il Bosco Fuori di cui già avevo pronto lo script, ecco perché viene ripreso il tema dell’infanzia e dei bambini diabolici, mentre Mummie è un cortometraggio su commissione voluto dal produttore che era anche l’autore della storia, ed è stato uno dei primi esperimenti di HD CineAlta in Italia.
- “L’Albanesi successivo”, però, è anche produttore. Pensiamo, ad esempio, a Fantasmi – Italian Ghost Stories, e crediamo che non sarà l’unico caso nel prosieguo della tua opera… Una necessaria scelta di sopravvivenza? Come ti trovi in questo ruolo?
Ho sempre voluto fare anche il produttore per altri registi, sulla scia di molti miei eroi cinematografici come Francis Coppola o Roger Corman per esempio. E’ un ruolo che mi dà molta soddisfazione e che sicuramente porterò avanti parallelamente al mio percorso registico personale. Il primo film da me prodotto, Fantasmi, uscirà a febbraio per la Ripley’s Film e già questo è un ottimo risultato se consideriamo che il film nasce come progetto in seno ad un gruppo di studenti universitari (l’Università Tor Vergata di Roma che ha offerto appoggi e strutture ai registi).
- Ti chiedono spesso – come è giusto che sia – una personale classifica dei tuoi film feticcio. Io, però, vorrei restringere il campo: cinque horror italiani che ti hanno segnato particolarmente…
Phenomena e Tenebre prima di tutti. Li ho visti da bambino e mi hanno segnato in maniera indelebile. Sono infatti entrambi ben presenti nel mio film d’esordio Il Bosco Fuori che in qualche modo è un remix di questi due film. Subito dopo citerei Reazione a catena di Bava per il geniale humour nero nella girandola di splatter e gioco al massacro, I Tre volti della paura sempre di Bava che è un autentico gioiello visivo e sonoro ancora oggi modernissimo, e per finire menzionerei…. Shock sempre di Bava, sottovalutato capolavoro dove in una delle sue rare volte il grande Mario si prende davvero sul serio imboccando la strada della Paura.
- Ho elogiato Il bosco fuori definendolo un film “di surreale marciume”, evidenziando, tra l’altro, il tuo abile gioco tra citazione ed istintività. Cosa ha significato per te? Una sorta di liberazione slasher?
E’ il film dove sono confluiti tutti i miei amori cinematografici, le mie passioni, i miei desideri di spettatore cinefilo, insomma il film che avrei voluto vedere. Ed è stato un gesto di ribellione, contro l’establishment cinematografico italiano che non mi permetteva di realizzarlo, contro il buon gusto e la sottile censura paratelevisiva ancora dominante, contro anche certi valori borghesi che nel film vengono attaccati (l’istituzione famigliare in primis). Per questo è girato in quella maniera così istintiva e viscerale, come hai giustamente evidenziato. E’ un film di pancia, così come “Terzani” è invece un film di testa.
- Il bosco fuori ha avuto anche una certa fortuna internazionale, specie dopo l’acquisto da parte della Ghost House di Sam Raimi. Penso, però, che tre personaggi singolarmente riusciti, quali quelli dei bulli romani – che a me hanno a ricordato i “cani arrabbiati” di Mario Bava – siano forse di più immediata presa per il pubblico italiano, e che forse il doppiaggio non renda in pieno. Più i pro o i più i contro dell’internazionalizzazione del film?
Sì, il riferimento a Cani arrabbiati è giusto, è un altro film di Bava che amo molto. Il Bosco Fuori è molto calato nella realtà italiana e soprattutto romana, con l’uso del dialetto e del contesto geografico riconoscibile, e questa in parte è stata la sua forza: un Texas Chainsaw Massacre ambientato nei Castelli Romani. Non sempre bisogna ricorrere al limbo indefinito per vedersi esportati all’estero.
L’”internazionalizzazione” del film di cui parli è stata sicuramente un bene in termini di visibilità e per me è stata fonte di grande gioia dato che Sam Raimi è un guru della mia giovinezza, modello insuperabile da inseguire, quindi il fatto che tra tanti film da tutto il mondo abbia scelto proprio il mio è ancora oggi un sogno che si è realizzato. Certo il doppiaggio americano che hanno realizzato i tipi della Lionsgate non è ottimale, ma nel dvd c’è sempre l’opzione dell’audio originale con sottotitoli, quindi il film è rispettato.
- Ubaldo Terzani Horror Show è un altro prodotto di rilievo nel panorama horror italiano, ma la differenza rispetto a Il bosco fuori emerge con una certa chiarezza. Pur non lesinando scene splatter, è un film in cui la “malattia dell’orrore” si sviluppa soprattutto a livello psicologico. È frutto del tuo cambiamento artistico occorso nell’arco dei 5 anni passati dall’esordio in lungometraggio, oppure si è trattato, semplicemente, di un progetto con obiettivi drammatici di diverso tipo?
E’ semplicemente un diverso tipo di film, non ha a che fare con un mio cambiamento dato che la sceneggiatura di “Terzani” l’ho scritta prima ancora di girare Il Bosco fuori, appunto in quegli anni di depressione dovuta al fatto che non riuscivo ad esordire. E’ quindi un film molto intimo e ancora più autobiografico del primo, dove mi sono esposto senza filtri. Sono due film che del resto vanno letti insieme, come una sorta di dittico, in quanto sono tra loro complementari: tanto il primo è istintivo e selvaggioquanto il secondo è cerebrale e composto, il primo è il film di un cinefilo e il secondo mostra la vita di questo cinefilo, il primo è declinato al femminile mentre il secondo al maschile, e via continuando.
- Dalla sceneggiatura di Ubaldo Terzani Horror Show, emerge un Albanesi non solo cinefilo, ma anche appassionato di letteratura… Quale suggestione letteraria è rinvenibile nell’opera?
Sì, in effetti sono un buon lettore, dal film emerge chiaramente una predilezione per Stephen King con tutto il suo filone meta-letterario incentrato sugli scrittori (da Shining a Misery a La Metà Oscura) ma anche la narrativa di Tiziano Sclavi che mi ha profondamente influenzato con la sua commistione di horror truculento, ironia e gusto per il surreale, oltre che per lo spiccato senso citazionista. Difatti l’interno del libro che legge Alessio di notte nella sua cameretta, all’inizio del film, è proprio un libro di Sclavi. Li possiedo tutti nelle loro primissime edizioni e in “Ubaldo Terzani” ho voluto omaggiare questo grande scrittore italiano.
- Com’è nato e come si è sviluppato il tuo rapporto con i Manetti Bros? Immaginiamo che prima della convergenza lavorativa, tu sia stato un loro “spettatore”…
Il mio rapporto con i Manetti Bros è nato all’insegna di un duro scontro, dato che ci siamo conosciuti in seguito ad una mia stroncatura pubblica che feci su un forum di cinema del loro film Zora la vampira. Marco intervenne e iniziammo un dialogo che poi portò alla frequentazione e all’amicizia. I due fratelli lessero la primissima stesura della sceneggiatura de Il Bosco fuori, ne rimasero entusiasti e si offrirono di produrlo, anche se poi il film venne prodotto da Gregory Rossi e i Manetti dettero solamente un appoggio tecnico-logistico. Su “Terzani” Marco e Antonio sono stati più determinanti dato che hanno curato la produzione esecutiva del film su incarico di Minerva Pictures, ma questo ha anche portato ad uno scontro di caratteri tra la mia visione produttiva e la loro, ponendo fine alla nostra collaborazione.
- Altro fedelissimo di grosso calibro, è Sergio Stivaletti. Dando una scorsa al curriculum di questo straordinario professionista, e facendo due più due con i tuoi ottimi esordi, vien da pensare che tu sia il naturale erede dei grandi maestri italiani dell’horror. In che modo il confronto con Sergio ha potuto, eventualmente, orientare o rafforzare alcune scelte espressive?
Ti ringrazio innanzitutto per il tuo appellativo di “erede”. Con Sergio invece il rapporto continua ad essere ottimo, tanto che siamo ancora uniti per quello che sarà il mio terzo film ovvero Kid in the Box, il sequel de Il Bosco fuori. Su youtube è possibile visionare un teaser trailer che ho realizzato appunto con l’ausilio di Sergio e che fa presagire il mood del film, che al tempo stesso è un film completamente diverso dal primo capitolo a cui si riallaccia. Sergio è un maestro sempre disponibilissimo ed umile, che non tenta mai di prevaricare il più giovane ma che anzi lo supporta nel pieno del reciproco rispetto. Per me è come un padre e una volta scherzando ho detto che il nostro connubio è come quello tra Sorrentino e Servillo… ormai indissolubile.
- A proposito di horror italiano… Se permetti, ti coinvolgerei nel dibattito che si è aperto sul film Dracula 3D di Dario Argento. Da molti, anche da qualche fan della prima ora, è stato considerato piuttosto deludente. Però, secondo noi, non mancano delle idee interessanti nella sceneggiatura. Come l’hai trovato?
Io l’ho trovato ottimo, il miglior Argento degli ultimi 20 anni, con sequenze bellissime come tutto l’incipit o come la grande sequenza della taverna. Ne ho anche parlato nella mia pagina Facebook suscitando l’ira di accaniti detrattori che sono scesi anche ad attaccarmi con insulti personali. Ormai criticare l’ultimo Argento è diventato un facile e scontato gioco, parlarne bene è un assoluto tabù. In realtà Dracula 3D è un film classico e rigoroso che si riallaccia al cinema degli anni Venti e Trenta, ancora prima della Hammer dunque, insomma quasi un’operazione archeologica che non può essere apprezzata dagli spettatori di oggi i quali inevitabilmente ne hanno decretato il flop. Ma la cosa che più sorprende è il rifiuto anche di molti critici, che sempre più spesso sono quelli improvvisati dei blog, e questo fa capire come si stiano perdendo le coordinate storico-culturali per comprendere appieno un film e contestualizzarlo. Ne ha invece parlato molto bene Marco Giusti che dimostra di aver compreso lo spirito del film, unico tra i tanti. Lo stesso è accaduto, in forma minore, con l’ultimo Bertolucci, un potente capolavoro incomprensibilmente snobbato dalla critica.
- A livello mondiale, dopo Rec e Paranormal Activity, e prima ancora con The Blair Witch Project, abbiamo assistito ad una proliferazione, talora indiscriminata, del formato found footage. Come valuti la fortuna di questo filone, forse già in fase di discesa parabolica? Ed hai mai pensato a qualcosa del genere?
Sì, avevo pensato ad un film in stile Point of view e ne avevo anche scritto la sceneggiatura, poi l’ho momentaneamente riposto nel cassetto per dedicarmi a Kid in the Box. E’ un filone che sembra sempre sul punto di esaurirsi invece continua imperterrito a sfondare al botteghino: ora è il turno di The Bay di Barry Levinson prodotto dal solito Oren Peli. La fortuna continua di questo tipo di horror ci fa capire che il pubblico vuole cose sempre più realistiche e credibili, per immedesimarsi pienamente, e forse ci costringe a ripensare certe formedell’horror un po’ desuete.
- L’altro grande fenomeno dei secondi anni duemila è stato quello della la cosiddetta new wave francese: Martyrs, Alta tensione, Frontiers, A l’interieur. Cosa ne pensi? E la scuola italiana, che ha fatto la storia, attualmente è davvero così inferiore?
Dati alla mano sì, la scuola italiana è inferiore perché attualmente non dispone dei mezzi e delle risorse di cui invece hanno goduto i francesi negli ultimi anni. Personalmente non sono un grande estimatore dell’horror francese, lo trovo troppo serioso e pretenzioso, formalmente impeccabile ma molto forzato nella voglia di stupire a tutti i costi. Noi abbiamo avuto una grande tradizione, sarebbe stupido prendere come modello un movimento così recente e sopravvalutato come quello francese piuttosto che guardare ai nostri padri.Invece vedo che molti registi giovani italiani si mettono a scopiazzare i francesi e questo a mio avviso denota delle vedute di breve respiro.
- Kid in the Box, che aspettiamo trepidamente, sarà il sequel de Il bosco fuori. Ci dobbiamo allora aspettare una virata rispetto ad Ubaldo Terzani Horror Show, in direzione del tuo primo lavoro? E quando uscirà?
Come dicevo prima, Kid in the Box si svolge subito dopo i fatti raccontati ne Il Bosco fuori ma il genere è completamente diverso, perché qui l’horror vira verso il melò e il road movie. Quindi il film in realtà prosegue il mio discorso di forzatura dei generi già avviato con “Terzani”. E’ la storia dei due bambini sopravvissuti alla strage del primo film, il bambino cannibale e quello tronco umano, che girovagano per il mondo imbattendosi in tutta una serie di personaggi ben più cattivi e mostruosi di loro. Il film sposa la poetica dei freaks di Tod Browning ed è una dura denuncia al Potere e alla Società, con scene anche estreme, tanto che sto incontrando molte difficoltà per realizzarlo nonostante il teaser trailer susciti l’entusiasmo di tutti. Del resto anche il primo Il Bosco fuori fu un film folle che nessuno voleva fare. Spero comunque di riuscirci entro il 2013.
- Ogni autore custodisce nel cassetto il film che vorrebbe girare. Con quale progetto Gabriele Albanesi sogna di cimentarsi?
Mi piacerebbe un giorno adattare un grande romanzo, ad esempio sono un fan di Umberto Eco che è tra i miei scrittori preferiti in assoluto. Ma chiaramente per il momento si tratta solamente di un sogno nel cassetto.
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