The Woman in Black: la recensione
Se la vostra abitazione è talmente démodé da non avere un resident ghost, con l’uscita in DVD di The Woman in Black di David Watkins potrete invitare a casa un’evanescente dama dagli abiti lividi quanto il suo umore. Un film dalle premesse non certo innovative, ma comunque atteso per via del passaparola cinefilo, che ne osannava la presunta suspense “da salto sulla sedia”, e per il suo ruolo di Prima Pellicola Post Harry Potter per Daniel Radcliffe. Ancora magia oscura per l’attore inglese, dunque; ma la volontà di incasellarlo in un personaggio inadatto, la struttura debole e il ritmo lento e prevedibile minano a priori quello che poteva essere un Buon Film di Fantasmi e l’occasione per l’ex maghetto di smettere definitivamente gli occhiali tondi.
La trama è tratta dall’omonimo romanzo di Susan Hill (già adattato per la TV da Herbert Wise nel 1989): il giovane avvocato londinese Arthur Kipps, vedovo con un figlio di 4 anni (ricordiamo, Radcliffe ne ha 22), si reca in un villaggio sperduto per la puntata gothic di Vendo Casa Disperatamente. Dovrà, infatti, occuparsi della Eel Marsh House, una haunted mansion davvero full-optional: palude, grigiume d’ogni genere, carillon angoscianti e ovviamente presenze ostili e unfinished business. Poiché sprovvisto dell’ormai mitologico Leucociuffo, il giovine Kipps riesce in un sol colpo a inimicarsi la quasi totalità della popolazione e a venire sospettato di avere causato l’ondata di morti infantili che, guarda caso, ha avuto inizio con il suo arrivo.
Fuor d’ironia, gli elementi per costruire un buon film non mancavano di certo: la comunità circoscritta ostile (topos della narrativa di Stephen King, fra i tanti), lo spettro metaforico della follia passata e quello ben più letterale della Nera Signora, lo sfondo perfetto del clima britannico e soprattutto i bambini, dall’agghiacciante scena iniziale che fonde Shining e Il Giardino delle Vergini Suicide, fino al terrificante coacervo di giocattoli minacciosi. Il problema sta però nel fatto che il film si sviluppa proprio per accumulo di materiale, senza un progetto architettonico che sfrutti le potenzialità di ogni elemento, creando così un perenne senso di attesa che però non diviene mai suspense vera e propria, né riesce a esplodere in una catarsi anche soltanto illusoria. Sprecato anche il punto di forza della pellicola, la curatissima atmosfera: una splendida fotografia e un set perfetto in ogni dettaglio distillano l’essenza dell’inquietudine intrinseca della brughiera piovosa e della cupa mansion edoardiana, ma la preziosa cornice va ad aggiungersi al resto degli elementi accatastati in un processo monocorde quasi privo di scarti.
Radcliffe convince solo parzialmente nel ruolo di Arthur: il pallore d’Albione, evidenziato da basette vintage e occhiaie profonde, lo inserisce perfettamente nel gioco di chiaroscuri evocativi à la Gustave Doré, ma barba e baffi accennati non bastano a velarne i tratti post-adolescenziali con la patina di vita vissuta da padre, vedovo e avvocato esperto. Il contesto soprannaturale rende inoltre difficile non evocare il suo personaggio più noto: si finisce sempre per aspettarsi un “Alohomora” per spalancare una porta bloccata dagli ectoplasmi, o un “Aguamenti” per spegnere l’incendio voluto dall’eponima nemesi, nonostante l’attore abbia già saputo dimostrare le sue doti di recitazione al di fuori di Hogwarts (in parte in questa pellicola, ma soprattutto nel delicato December Boys e nell’intenso dramma teatrale Equus). Più riuscito, invece, il ruolo dell’aiuto-eroe, interpretato da Ciarán Hinds (che aveva già lavorato con Radcliffe sul set di Harry Potter e I Doni della Morte, nei panni di Aberforth Silente, e che continuerà a esplorare le tenebre nel ruolo di Mance Rayder nella terza stagione di Game of Thrones).
Atmosfera e performance non bastano, però, a compensare la mancanza di un impianto solido: la pellicola avanza con lentezza tale da rendere prevedibili i momenti in cui si tenta (spesso invano) di ribaltare le prospettive. Il film si trasforma, così, in lungo viaggio senza troppi scossoni, a dispetto del promettente sigillo Hammer Horror; tanto vale, allora, lasciar perdere la storia e godersi il panorama.
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