I 6 migliori horror del 2014 che non ci hanno fatto vedere
Tra found footage mal distribuiti e horror da festival, il meglio non visto in sala
Per gli amanti dell’horror la vita può essere un inferno: nonostante una discreta covata malefica di titoli in sala (da Annabelle a La metamorfosi del male, ma il migliore resta Oculus), come ogni anno i recessi più gradevolmente oscuri sono quelli dei film… oscurati dalla distribuzione. Cinema Errante prova a ripescare qualche titolo di caratura solforica, che difficilmente avrete visto o vedrete al cinema, e che nel 2015 raccomandiamo di recuperare.
Afflicted di Clif Prowse, Derek Lee. Un found footage in formato videoblog: due amici partono per un giro del mondo, ma durante la tappa parigina ad uno dei due succede qualcosa che gli cambia il viaggio e la pelle. A tratti una versione nerogotica di Chronicle, è un horror atletico e filante, con occasionali riprese in affannata soggettiva da videogame. Più adrenalina che fifa.
Willow Creek di Bobcat Goldthwait. Il film che i detrattori dei found footage malediranno con la classica obiezione: non succede nulla. Una coppietta si addentra nella foresta per trovare il luogo dove fu girato lo storico filmato su Bigfoot di Patterson e Gimlin negli anni sessanta. Si prende la piega del progenitore, “The Blair Witch Project”. L’aspetto curioso di questo film – evidentemente girato con pochi mezzi, ma molto ben curato nei credibili dialoghi – è che risulta uno dei pochi horror “acustici”, fatto di rumori che braccano: di necessità virtù, o paura.
The Canal di Ivan Kavanagh. Archivista ossessionato da un vecchio filmato d’inizio secolo sugli orrori di una casa – in cui, guarda caso, si è trasferito da poco – perde la moglie. È il principale sospettato, ma a sua volta sospetta un fantasma. È una pellicola inquietante e gelida in cui spira un’aria satanica e si cita senza inibizioni The Ring. Finale perverso.
The Sacrament di Ti West. Un mockumentary ispirato ad una storia vera, prodotto da Eli Roth e diretto da un regista già distintosi nel progetto VHS. Comunità religiosa ospita due reporter ed il fratello di un’adepta. Lo chiamano paradiso, ma diventerà l’inferno. Tra claustrofobia ed agorafobia (il villaggio diventa una trappola), fa sociologia dell’orrore, con un effetto da Apocalypse now in cui spicca la carismatica figura del “Padre”.
Starry eyes di Kevin Kölsch and Dennis Widmyer. Realizzato grazie al crowdfunding, è il film più morboso, sanguinario e malato del lotto. Aspirante attrice si cala negli abissi della perdizione per ottenere il ruolo da protagonista in un horror. Diabolico e dal crescendo allucinato.
The Babadook di Jennifer Kent. Si tratta del più raffinato della serie, visivamente impressionante per le riprese al buio da cui fuoriescono facce spaventate con ghigni scolpiti da pochi baluginii, nonostante il “mostro” sia, in fondo, volutamente minimale. Sorta di variazione sull’uomo nero che diventa un para-Shining al femminile, attraversa consapevolmente tutti gli stereotipi di genere ma attingendo ad un’oscurità psicologica di categoria superiore ed incollando alla poltrona durante il climax a due terzi. Horror da scantinato che raramente scantona.
(foto di copertina: dettaglio del poster di The Sacrament; immagine all’interno: dal film The Babadook)