Why Don’t You Play in Hell?, presentato nella sezione Orizzonti a Venezia 70, segna il ritorno al Lido del regista giapponese Sion Sono, a due anni dalla sua partecipazione in concorso con il tragico Himizu.

Questa volta, il poliedrico autore ci mette davanti a un coloratissimo pastiche in cui tutto ruota intorno alla bella Mitsuko (Fumi Nikaido, già Premio Mastroianni per Himizu), figlia ribelle dello yakuza Muto (il sempre più bravo Jun Kunimura, in una spassosa caricatura dei suoi personaggi classici del genere) ed ex star bambina di uno spot per dentifrici, e agli scalcinati Fuck Bombers, cinefili quasi trentenni in perenne attesa della grande occasione di girare il film della loro vita. Quando i loro destini si incrociano, il risultato sarà devastante.

Con un soggetto agli antipodi della serietà drammatica dei precedenti, Sion Sono mette insieme romanticismo adolescenziale condito da atroci vendette, violente guerre fra yakuza vanitosi e nostalgia da nerd per un’età in cui i sogni giovanili non si erano ancora scontrati con la desolazione della realtà, e dà vita a una delle più estreme, folli e deliranti dichiarazioni d’amore per il cinema – anzi, più propriamente, per il fare cinema – mai uscite sullo schermo.

Mantenendo per gran parte della vicenda un tono demenziale, solo a tratti interrotto da improvvisi picchi di ferocia splatter, il film si sviluppa con la cadenza leggera e infantile del jingle cantato da Mitsuko (memorabile l’utilizzo ripetuto che il regista ne fa nei momenti più impensati), fino a un climax in cui la quantità di sangue, omicidi e smembramenti raggiunge proporzioni talmente grottesche da sembrare la parodia smodata di Kill Bill, con il quale Sion Sono stesso ha dichiarato esservi delle somiglianze.

Nei fatti, però, il film affonda le sue radici in un cinema squisitamente orientale, debitore tanto dell’action-movie classico à la Bruce Lee (citato con il personaggio dell’attore fallito Sasaki, al quale dà il volto la meteora delle arti marziali Tak Sakaguchi), quanto degli anime più demenziali (con i Fuck Bombers che, nella loro ossessione per la quale sono disposti a sacrificare ogni cosa, ricordano in parte il Trio Drombo di Yattaman), ma rivisitato sotto lo sguardo affettuoso, quanto violentemente dissacrante, del cineasta giapponese.

Nonostante un finale in sintonia con lo spirito dell’opera ma rovinato da una certa ripetitività, Why Don’t You Play in Hell? resta un film molto divertente e pieno di inventiva, che può contare su interpreti in grande forma istrionica (su tutti svetta il sublime Shinichi Tsutsumi nel ruolo di Ikegami, yakuza rivale di Muto) e su una regia a dir poco virtuosistica. Gli amanti di certo cinema da festival sobrio e realistico, però, si astengano.

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