In Corea del Sud col genere thriller ci sanno fare, questo è assodato. Ci sono titoli che da soli oscurano la quasi totalità della produzione hollywoodiana, in quanto a cattiveria, originalità, profondità, livello tecnico. A partire da veri capolavori come Memories of Murder di Bong Joon-ho, o la “Trilogia della Vendetta” di Park Chan-wook, passando per opere meno blasonate ma efficacissime (The Chaser e A Bloody Aria, per citarne alcuni) per arrivare ai più recenti I Saw the Devil o Man from Nowhere. I film che hanno a che fare con rapimenti, violenze, soprusi e, nella maggior parte dei casi, con una feroce quanto liberatoria vendetta davvero non si contano, e nel quadro descritto cade anche il recentissimo Confession of Murder di Jeong Byeong-gil.

Ma dopo tutto il bendidìo cui la Corea del Sud ci ha abituato in tutti questi anni, escono ancora thriller davvero validi? La domanda sorge spontanea se si pensa, ad esempio, al genere horror, che da qualche anno langue in una sorta di stasi, incapace di produrre pellicole degne dei fasti passati, ma è meglio dire subito che la risposta è sì, come si può intuire anche dalla sola sinossi del film.

Dopo quindici anni una serie di brutali omicidi finisce in prescrizione senza che si sia mai individuato il colpevole. Due anni dopo un uomo di nome Lee Du-seok presenta alla stampa il suo primo libro, l’autobiografia “I am the Murderer“, proclamandosi pubblicamente l’esecutore della serie di omicidi in cui erano state rapite e uccise dieci donne. Grazie alla narrazione ricca di dettagli e al suo viso angelico, Lee diviene immediatamente una celebrità e il suo libro un best seller. Il detective Choi, che aveva indagato sugli omicidi diciassette anni prima, si rimette a lavorare sul caso in un surreale clima di sovraesposizione mediatica, in cui tanto il poliziotto quanto l’assassino divengono parte di un controverso ma comunque seguitissimo show. Intanto i parenti delle vittime meditano una vendetta a lungo attesa…

Come spesso accade con i film coreani, in Confession of Murder si accavallano diversi registri e diversi temi portanti. Il dramma della scomparsa, la sofferenza dei familiari, l’odio nei confronti del responsabile e i propositi di vendetta rientrano nel classico schema del revenge movie, ma la pellicola si lascia andare anche a corpose scene di azione pura, con inseguimenti in auto spettacolari, divertenti e sopra le righe.

Nel gruppetto dei familiari decisi a farsi giustizia da soli si riflette un po’ il cliché del criminale dilettante, dando vita ad alcuni momenti da black comedy; registro, questo, in cui s’inserisce spesso anche il personaggio del poliziotto scapestrato e un po’ cialtrone rappresentato dal detective Choi (il sempre ottimo Jeong Jae-yeong di Castaway on the Moon).

Non confondiamoci però, il mood prevalente della pellicola è quello oscuro e drammatico che si confà a una storia di questo tipo. Il confronto fra il bene e il male, fra il detective e l’assassino, è appassionante e ricco di colpi di scena, dei quali uno davvero da applausi. Ci sono però altri protagonisti in questa storia: se, da una parte, abbiamo la legge, dall’altra c’è la tentazione della giustizia sommaria, umanamente condivisibile e forse anche auspicabile, rappresentata dai parenti delle vittime, riuniti in un modo simile a quanto già visto in Lady Vendetta.

E poi c’è un altro, grande protagonista: il mondo dei media, rappresentato dalla TV e dai talk show, disposti a tutto, anche a sfruttare le storie più torbide e a oltrepassare i limiti imposti dal buonsenso pur di fare audience. E forse la cosa più interessante è proprio come viene dipinta la schiera di ammiratori e, soprattutto, di ammiratrici dello scrittore-assassino. È chiaro come le menti criminali esercitino un forte fascino, e ormai cinema e serie TV ci hanno largamente abituati a oltrepassare a cuor leggero quel confine morale tra bene e male, tra buono e cattivo che forse un tempo era più definito, sicché è diventato normale in molti casi trovarsi a tifare per il killer, per il “lato oscuro”. Ecco, questa pellicola porta la questione alle sue estreme conseguenze, presentandoci un grottesco esercito di lettrici infatuate del sadico assassino di bell’aspetto, dimentiche del fatto che a morire per mano sua erano state proprio donne innocenti come loro. Anzi, che quelle donne avrebbero potuto tranquillamente essere loro. Per quanto non centrale, infine, non manca il tema amoroso, così come quello del sacrificio, né il momento di vera commozione.

Concludendo, Confession of Murder è, sotto ogni aspetto, un ottimo thriller/drama, che combina diversi elementi in maniera estremamente bilanciata ed efficace; un film in cui intrattenimento di alto livello e riflessioni morali e sociali trovano un riuscitissimo punto d’incontro.

Scritto da Giancarlo Gaia.

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