Inizia e si conclude tra le nebbiose strade dei sobborghi di Detroit l’incredibile vicenda di Sixto Rodriguez, sfuggente protagonista di Sugar Man, narrazione di un’assenza da cui affiora la storia di un uomo e di un intero popolo da lui inconsapevolmente ispirato. Il documentario di Malik Bendjelloul, vincitore del Premio Oscar, mantiene la figura di Rodriguez sullo sfondo, avvolta da quel mistero che ne ha caratterizzato la vita e la carriera e lascia che a parlare siano i diversi co-protagonisti, con i loro contraddittori punti di vista: i produttori Dennis Coffey, Mike Theodore e Steve Rowland, il giornalista sudafricano Craig Bartholomew, Stephen ‘Sugar’ Segerman proprietario di un negozio di dischi a Città del Capo, il muratore Jerome Ferretti. Tutti portatori di una verità parziale; tutti, loro malgrado, costruttori di storie e mitologie incerte.

Per i produttori Dennis Coffey e Mike Theodore Sixto è un ragazzo di origini messicane di straordinario talento che si esibisce nei locali dei bassifondi lungo il fiume, una figura spettrale –  le spalle rivolte al pubblico, gli occhi chiusi, la mano che batte sulla chitarra, tra il fumo di sigaretta e le teste dei lavoratori stanchi. Ed è anche il più grande rimpianto di una carriera: Cold Fact, il primo album uscito nel 1970, nonostante mostri con evidenza le doti cantautorali di Sixto, è un totale insuccesso commerciale. Così come Coming from Reality, prodotto l’anno seguente da Steve Rowland, sempre per la Sussex Record, che vende, a detta del fondatore dell’etichetta Clarence Avant, circa sei copie in tutti gli Stati Uniti. Un risultato inspiegabile per tutti quelli che avevano visto nel ragazzo un nuovo Bob Dylan, una figura di saggio e di profeta, capace di raccontare la vita della working class con una poesia e una ricchezza di sfumature fuori dal comune. E la storia sembra concludersi così come era cominciata, tra le strade di Detroit, con la nebbia che avvolge il bar sulla strada, la vita di Sixto e due album pressoché sconosciuti destinati all’oblio.

E invece no. Per vie sconosciute una copia di Cold Fact arriva in Sud Africa, si diffonde clandestinamente fra i giovani bianchi dei movimenti anti-apartheid e diventa manifesto di una generazione: la liberazione sessuale che traspare da I wonder, la spinta al cambiamento e il potere immaginifico delle sostanze stupefacenti cantate in Sugar Man, danno corpo a desideri e speranze inespresse, diventano slogan di scontri e manifestazioni, sono d’ispirazione per ogni musicista rock sudafricano. “Più famoso e amato di Elvis e dei Rolling Stones” racconta Stephen ‘Sugar’ Segerman, proprietario di un negozio di dischi a Città del Capo e fra i primi ad interrogarsi sull’identità e sul destino del misterioso Rodriguez, forse morto di overdose o suicidatosi sul palco durante un concerto. Ricerca che diverrà missione per il giornalista Craig Bartholomew, fino a una telefonata che cambierà completamente il corso degli eventi.

Il resto della storia è un piccolo miracolo da scoprire. Un miracolo che Bendjelloul sa rendere al meglio attraverso un fitto mosaico di testimonianze, materiale d’archivio e brevi animazioni che costruiscono, calibrando con attenzione mistero e coinvolgimento emotivo, il profilo del più atipico e misconosciuto dei cantautori, strappato alle nebbie di Detroit da una Rivoluzione che urlava a gran voce il suo nome e tornato infine, dopo un successo inimmaginabile, alla vecchia casa di una vita, con gli stessi occhiali, lo stesso cappello, i pantaloni di pelle scura e la chitarra. Il passo incerto tra le case e le vecchie fabbriche della città ma il sorriso aperto di chi, in fondo, vuole percorrere fino alla fine quella lonely and dusty road.

Sugar Man, distribuito in Italia da Biografilm Festival in collaborazione con il Gruppo Unipol, sarà nelle sale del Circuito The Space il 10, 11 e 12 giugno. Un’occasione da non perdere.

Scritto da Barbara Nazzari.

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