Wilfred è una comedy statunitense, trasmessa dal giugno del 2011 sul canale FX (in Italia su Fox dal dicembre del 2012) e basata sull’omonima serie televisiva australiana. Alla radice di questo remake made in USA, quattro nomi: Jason Gann (anche interprete, in entrambe le serie, del cane Wilfred), Adam Zwar, Tony Rogers e David Zuckerman (già produttore di Family Guy – I Griffin e American Dad!).

La serie ruota attorno alle vicissitudini e all’amicizia – un’anomala buddy tv series, dunque – tra Ryan Newman (interpretato da uno stralunato Elijah Wood) e Wilfred, un cane (un Labrador Retriever, secondo gli autori), il “migliore amico dell’uomo”, che ha però le sembianze di un essere umano adulto, barbuto, ruffiano e scontroso, con indosso una sorta di peluche, che lo rende in tutto e per tutto un enorme “uomo-cane (o grillo?) parlante”. La padrona di Wilfred è la vicina di casa di Ryan, Jenna (Fiona Gubelmann), che lavora come autrice per un notiziario locale e di cui naturalmente Ryan si innamora. Anzi, nel Pilot Happiness – Felicità, diretto da Randall Einhorn (dietro alla macchina da presa in tutti gli episodi della prima stagione, tranne per tre centrali, diretti da Victor Nelli Jr.), sembra essere proprio lei a dare all’ex-avvocato la spinta per continuare a vivere, dopo una serie di patetici tentativi di suicidio falliti, tutti liquidati nel preambolo.

La serie – da poco rinnovata per una terza stagione, mentre la seconda, ancora inedita in Italia, è andata in onda negli States tra il giugno e il settembre del 2012 – è acida follia, surreale e umana allo stesso tempo. “Genio e sregolatezza”, per una serie che concentra la maggior parte delle sue trovate comiche nell’allucinato personaggio di Ryan e soprattutto nell’opposizione tra caratteristiche umane e canine del personaggio di Wilfred: fumatore accanito da un lato, cucciolone talvolta bisognoso di coccole e attenzioni dall’altro, vero e proprio delinquente se lo si osserva nelle sue azioni “umane”, cane semplicemente “birichino” e un po’ maleducato se lo si giudica con lo sguardo dell’affezionato padrone.

Diretti e funzionali sono i titoli originali (per esempio, Fear, Isolation, Sacrifice) degli episodi, talvolta banalizzati nella versione italiana: Compassion diventa La mamma è sempre la mamma. E colte sono le citazioni – correlate appunto ai titoli originali – in esergo a ogni singolo episodio: da Mark Twain, che apre il Pilot, a George Orwell, da Emily Dickinson a Gandhi.

Nell’episodio finale (1×13, Identity – Identità), tutto sembra crollare: dopo un incidente, Wilfred è in ospedale e non riconosce il suo migliore amico Ryan. Uno stacco, e la macchina da presa segue quest’ultimo che corre verso casa, dove scopre un armadio a muro dietro la porta che nasconde(va) le scale per il basement, il seminterrato dove era solito trascorrere il tempo con il suo cane parlante. Davanti a lui cade una pallina da tennis, quella con cui erano soliti giocare. Sta delirando o è finalmente lucido? Wilfred è una visione? Certamente, tutta della mente di Ryan, che forse sta lottando per liberarsene. O forse, più probabilmente, sta tentando al contrario di non perdere il suo migliore amico, anche se è solo un “cane nella sua testa”. L’importante è – come recita la citazione di Anne McCaffrey, in apertura all’episodio 1×09 – “non giudicare mai senza compassione”.

Scritto da Luca Pasquale.

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