Partenza in grande stile per l’attesissima seconda stagione di Game of Thrones.

Col concludersi della prima stagione avevamo lasciato Jaime Lannister, lo Sterminatore di Re, prigioniero di Robb Stark, scopertosi sorprendente stratega; le due sorelle di quest’ultimo, Sansa e Arya, erano la prima ostaggio di corte a fianco dell’odioso Re Joffrey, la seconda in fuga da Approdo del Re con i Guardiani della Notte; Jon Snow stava per intraprendere la sua prima spedizione al di là della Barriera al seguito del Lord Comandante Mormont e di altri confratelli; Daenerys era uscita dal fuoco purificatore della pira di kahl Drogo come nuova regina dei draghi.

La seconda stagione parte da un sequenza di grande impatto: il rogo dei sette dei sulla spiaggia di Roccia del Drago e le parole cariche di foschi presagi di Melisandre, sacerdotessa di R’hllor, Signore della Luce. Un’apertura radicalmente ellittica che mantiene la figura di Stannis Baratheon, finora solamente evocata, in un’aura di mistero e fa il pari, in termini di suggestione e senso di incertezza, con la strana cometa rossa che attraversa il cielo dei Sette Regni.

L’azione principale rimane concentrata ad Approdo del Re: un Joffrey Lannister novello Erode ha ordinato l’uccisione di tutti i bastardi di Robert Baratheon e, considerando l’esuberanza del fu Re, questo si traduce in una vera e propria mattanza, perpetrata con inaudita ferocia dalla Guardia Reale. L’ultimo bastardo sopravvissuto è Gendry, l’apprendista armaiolo che era stato interrogato prima da Lord Arryn e poi da Lord Stark sui suoi incerti natali; insieme ad Arya, il ragazzo, che è anche l’unico del gruppo a conoscere la vera identità della piccola Stark, sfugge alle ricerche unendosi al carico umano diretto alla Barriera. Tyrion Lannister intanto è arrivato a corte fresco di nomina a Primo Cavaliere e non sembra per nulla intenzionato ad assecondare le dinamiche in atto.

Lontano da King’s Landing le cose non sembrano andare meglio: Jon Snow, in spedizione nelle terre selvagge per ritrovare lo zio Benjen e i suoi uomini, è momentaneamente ospite di tal Craster, signore di un’inquietante comunità famigliare dedita all’incesto, mentre Daenerys Targaryen e il suo esausto khalasar rischiano la vita tra le sterminate distese del Deserto Rosso, sotto la minaccia continua di aggressioni da parte dei khal rivali. Theon Greyjoy, in cerca di alleati per gli Stark, riceve una pessima accoglienza alle Isole di Ferro da parte del padre Balon, per nulla intenzionato ad accettare le offerte del figlio.

Continuano quindi in questa stagione le riflessioni portanti del ciclo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: le dinamiche del potere, la natura liquida di valori come l’onore, la giustizia e la lealtà. Emblematico, parlando di potere, il confronto tra Cersei e Lord Baelish: quando quest’ultimo le suggerisce che “La conoscenza è potere”, la regina risponde con le spade sguainate della sua Guardia, “Il potere è potere”. Il potere dei Lannister ormai non è più il potere che viene dall’intrigo e dall’astuzia, di cui Ditocorto e Varys sono maestri; non è il potere che viene dal patto di lealtà col proprio popolo e da una condotta integerrima come quello di Eddard Stark; è il potere che rimanda solo a sé e al proprio esercizio, per perpetrare se stesso.

In questo contesto si delinea quella che potremmo chiamare l’apologia dei vinti delle Cronache: sono gli emarginati, i deboli, gli storpi e i bastardi ad avere la visione più saggia del mondo che li circonda. La piccola Arya, i bastardi Jon e Gendry, il Folletto Tyrion hanno insieme la forza morale e la scaltrezza di chi ha imparato a cavarsela in un mondo ostile e quindi la capacità di interpretare il reale con lucidità e disincanto. Quella lucidità e quel disincanto che mancavano a Ned Stark, ucciso dal proprio ottuso rigore.

Terreno di scontro e confronto è ancora una volta la difesa dell’innocenza dell’infanzia: era stato motivo di rottura tra Ned e Robert quando il secondo era deciso a far uccidere Daenerys e il figlio che portava in grembo; è limite invalicabile per Jon che di fronte all’ipotesi di un sacrificio di neonati è disposto a contravvenire agli ordini di Mormont e a rischiare la vita; è limite invalicabile anche per Tyrion, colpito dal cinismo del mercenario Bronn sugli infanticidi commessi in città.

In conclusione, due puntate solide dal punto di vista concettuale ma che, allo stesso tempo, mantengono un profilo ricco e sfumato grazie al continuo gioco di allusioni e contrappunti e alla potenza figurativa di molte sequenze. Best quote, come sempre di Tyrion: You love your childrenIt’s your one redeeming quality; that and your cheekbones. Ci aspettiamo molte grandi cose da questo piccolo uomo.

Scritto da Barbara Nazzari.

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