Beth Orton, la ragazza insignita del famoso Brit Awards come Migliore Artista Femminile Inglese (2000), questa volta torna, e lo fa dagli Stati Uniti, con un album, Sugarin Season, particolarmente emotivo e dolce.

L’origine folk del sound di Beth Orton è ancora nettamente chiara nelle sonorità: si parte da un brano particolarmente vivace (Magpie), scivolando poi su suoni armoniosi o più mossi (Dawn Chorus e Candles). Quello che colpisce maggiormente della Orton, dopo ben sei anni di attesa dall’album precedente, è il cambiamento di stile e di suono: ci aveva abituati a buoni connubi elettronici e celebri collaborazioni (con il produttore William Orbit, e con molti altri, come Ben Harper e Ryan Adams), ma quello che troviamo qui è decisamente più maturo e ponderato.

Sono stati sei anni lunghi e di riflessione, e lo si percepisce al primo ascolto: l’uso di acustiche ed archi, il ritmo da giornata piovosa di Something more Beautiful, reso solenne dalla voce della cantante, nata poco più di quarant’anni fa nel Norfolk, Regno Unito. Le atmosfere alla Norwegian Wood (per citare i Beatles) si fanno concrete in Call me the Breeze, dove però il marchio della Orton è sempre presente: i paesaggi di Portland, Oregon, dove è stato registrato il disco, sembrano scorrere davanti agli occhi. Il ritmo sognante, che continua con Poison Tree, sembra interrompersi per un attimo con See through Blues, una marcetta con piano, archi e ottoni, divertente e breve, che sa così tanto di tetti e vicoli parigini: con Last Leaves of Autumn, la voce accompagnata dal piano viene progressivamente integrata dal basso, poi dagli archi. Sono atmosfere a tratti malinconiche, che sanno però trovare una propria ragione d’essere nel fluire folk e cantautorale dell’intero disco: forse, ad un certo momento, ci si aspetterebbe uno scatto in più, una rottura da questo equilibrio che a volte ci sembra rischiare di essere lievemente monotono.

Monotono perché forse Sugarin Season, più che un disco da ascoltare in macchina, sembra essere ideale come colonna sonora di una pellicola d’autore o per il piccolo schermo: non a caso, Beth Orton ha già lavorato col mondo del cinema USA in molte sue differenti espressioni. La ricordiamo nella colonna sonora di Vanilla Sky, così come in Grey’s Anatomy e Dawson’s Creek: con queste atmosfere risulta facile immaginare scene struggenti sui moli di Capeside o tra le corsie di chirurgia dell’ospedale di Seattle.

Questo è un disco struggente e sognante, tecnicamente impeccabile: certo, non sarà il preferito da chi predilige suoni aggressivi. Sugarin Season è, infatti, un disco di sfondo, maturo e cinematografico: forse per questo ha ancora più senso parlarne qui su Cinema Errante, dove di pane e cinema si vive ogni giorno.

Scritto da Massimiliano Lollis.

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