The Amazing Spider-Man, il nuovo film diretto da Marc Webb, narra la storia di Peter Parker (Andrew Garfield) a partire dall’infanzia quando, persi i genitori in un misterioso incidente, viene affidato alle cure degli zii Ben e May. Ormai diciassettenne, Peter si innamora della compagna di liceo Gwen Stacy e inizia, nel contempo, a frequentare il laboratorio di un luminare della scienza amico del padre, il dottor Curt Connors, che sta progettando una formula per eliminare le imperfezioni dall’organismo umano. Il morso di un ragno geneticamente modificato cambia per sempre la vita di Peter, trasformandolo nell’eroe mascherato noto come Spider-Man.

Preceduto alla sua uscita da una fitta campagna pubblicitaria, il reboot cinematografico della saga del supereroe Marvel forse più popolare – creato nel 1962 da Stan Lee e Steve Ditko – fa piazza pulita di quanto messo in scena nella precedente trilogia diretta da Sam Raimi, e affida il rilancio del franchise al promettente Marc Webb, che aveva ottenuto un buon successo tre anni fa con la commedia romantica 500 giorni insieme: non a caso, il trentaseienne regista dà vita a un adattamento molto meno autoriale, meno intriso di spirito nerd rispetto al suo predecessore, e indirizzato principalmente a un pubblico young adult, non per forza a conoscenza dell’universo fumettistico ragnesco, dal quale si concede numerose licenze.

Ridotto al minimo il confronto con Raimi – presente solo nella trasposizione dei momenti chiave dell’origine del personaggio – il regista si concentra maggiormente sul lato umano di Peter Parker, limitandone gli aspetti comici e l’incessante parlantina e approfondendo molto il legame quasi filiale con gli zii e quello sentimentale con Gwen Stacy, a discapito della sua dimensione prettamente supereroistica, qui a dire la verità lasciata in secondo piano. Grazie anche a un interprete, Andrew Garfield, con l’aria del ragazzo della porta accanto, Peter appare un adolescente sì timido e solitario, ma più normale rispetto all’impacciato nerd ritratto da Tobey Maguire, meno clownesco e più sicuro di sé, rendendo così più facile l’identificazione anche da parte di chi non ne conosce la versione cartacea. In questa chiave, viene messa in risalto la passione per la scienza del giovane Parker, e la sua genialità e la capacità di improvvisazione, più che l’arcinoto senso di responsabilità derivante dal grande potere di cui si ritrova titolare, assumono un ruolo centrale nella nascita del nuovo supereroe, compreso nella tessitura del costume rosso e blu e nella creazione degli imprescindibili lanciaragnatele.

I legami con la trilogia precedente, dunque, si limitano ad alcuni vertiginosi movimenti di macchina durante le soggettive del protagonista, ma è una scelta pressoché obbligata per questo genere di film; per il resto, con un intento modernizzatore che ricorda il lavoro di Christopher Nolan sulla saga di Batman nei confronti della prima trasposizione ad opera di Tim Burton, la storia è epurata dagli elementi più fantastici e grotteschi, la regia appare più sobria e convenzionale (sfociando talvolta nella mancanza di personalità), ma risultano lievemente più curate la psicologia dei personaggi e la loro maturazione rispetto all’evolversi della vicenda.

Se l’operazione risulta, almeno in parte, convincente, parte del merito deve essere riservato al cast, a cominciare dai veterani Martin Sheen e Sally Field che, nel ruolo degli zii Ben e May, danno prova di grande professionalità di navigati interpreti hollywoodiani dai capelli canuti ma dal talento sempre radioso. Emma Stone, dal canto suo, dà vita a una Gwen Stacy gradevole e intelligente, fedele alla controparte disegnata, rendendo giustizia a un personaggio già rovinato dall’infelice caratterizzazione da oca giuliva che ne fece Bryce Dallas Howard nell’ultimo e peggiore capitolo della trilogia di Raimi. Al suo fianco, il burbero padre poliziotto George ha il volto dell’ottimo Denis Leary, che riesce a essere credibile in un ruolo serio pur senza rinunciare al suo caustico umorismo da stand-up comedian, mentre il mezzo villain Connors/Lizard, scienziato diviso fra vocazione filantropica e follia distruttiva, è ritratto nei suoi tormenti con un virtuosismo forse un po’ eccessivo da un altro comico, il gallese Rhys Ifans. A completare il tutto, l’immancabile cameo di Stan Lee, in questo caso particolarmente divertente.

In sintesi, The Amazing Spider-Man rappresenta un discreto punto di partenza per chi intenda avvicinarsi per la prima volta al mondo ragnesco, ma potrebbe far storcere il naso allo zoccolo duro, purista e ultranerd, dei fan della sua versione cartacea, rispetto alla quale aggiunge comunque ben poco.

Restate in sala dopo i primi titoli di coda: come in ogni film Marvel che si rispetti, c’è una post credits scene.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.

Edoardo P.Giacomo B.
66