Don Giovanni è un film di Carmelo Bene realizzato nel 1970 della durata di 75 minuti. Immortalati nelle immagini insieme all’artista salentino ci sono: Lydia Mancinelli, che interpreta la madre della bambina e l’amante di Don Giovanni, Gea Marotta nella parte della figlia dell’amante, e infine Vittorio Bodini ricopre il ruolo di un prete. La regia e la sceneggiatura sono ad opera beniana, mentre la scenografia è di Salvatore Vendittelli, la fotografia di Mario Masini e il montaggio di Mauro Contini.

Questo lavoro è stato presentato prima a Cannes nel maggio 1970, poi ad agosto dello stesso anno alla Mostra del Cinema di Venezia, suscitando reazioni estremamente positive nella critica; nonostante queste reazioni, però, l’opera non riuscì a diventare un successo commerciale, anzi, il contrario. A differenza di molti altri spettacoli di Bene, come ad esempio Amleto o Pinocchio, il Don Giovanni sfugge alla costante tendenza beniana di ritornare sullo spettacolo creandone altre versioni totalmente autonome rispetto alle precedenti, rimanendo l’unica versione. La trama è basata sul racconto delle azioni che il Don Giovanni compie mentre cerca di sedurre la figlia della sua amante, e non per niente in questa pellicola l’autore salentino si ispira a Il più bel amore di Don Giovanni, storia contenuta ne Le Diaboliche di Jules-Amédéé Barbery D’Aurevilly.

L’ambiente scelto per le riprese è molto piccolo e claustrofibico: si tratta dell’appartamento di Bene in via Aventina a Roma, con drappi di velluto nero a rivestirne le pareti. Degne di nota nel Don Giovanni beniano sono le scelte delle inquadrature e del montaggio, che si rivelano fondamentali per gli effetti stranianti di cui il film è ricco. Elemento caratteristico è l’utilizzo massiccio di soggettive portate fino alla loro esasperazione espressiva; la stratificazione di punti di vista diversi in un flusso che sembra non avere mai fine porta a un effetto di frantumazione del soggetto sempre rincorso da CB. Rafforzano le inquadrature elementi scenici come gli specchi, che riflettono, raddoppiano, mescolano, incorniciano e frantumano porzioni di reale.

La femminilità è un nodo fondamentale dell’opera, che si dipana tra la mancanza della donna nella bambina (proprio per questo vera essenza del femminile), la madre ormai matura che ha consumato l’essere donna e Don Giovanni che nella rincorsa alla seduzione della giovane cerca lui stesso di raggiungere il proprio universo femminile interiore. La ricchezza compositiva della pellicola si celebra anche nelle citazioni pittoriche, tra le quali la più eclatante è sicuramente quella de La bagnante di Valpinçon di Ingres, che però viene sapientemente svuotata di significato. Infine i continui passaggi al nero da un’immagine all’altra diventano essi stessi immagine, protagonisti di una sospensione del pensiero e contrapposti alle immagini dove sono presenti elementi visivi. In conclusione, si può pensare a Don Giovanni come a un viaggio tra la frantumazione dell’io, l’oblio e il femminile.

Il terzo appuntamento della rassegna mensile su Carmelo Bene, organizzata in omaggio alla sua scomparsa (16 marzo 2002), si conclude qui. Appuntamento al prossimo mese con Salomè.

Scritto da Anna Silvestrini.

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