Hermitage, cortometraggio della durata di 24 minuti girato su 35 mm, è scritto, diretto e interpretato da Carmelo Bene nel 1968; neanche a dirlo, pure i costumi e la scenografia sono dell’artista. Il testo è preso da Credito Italiano V.E.R.D.I., romanzo di Bene publicato nel 1967, e oltre a Bene sotto i riflettori appare,  anche se brevemente, Lydia Mancinelli. Il luogo delle riprese è la stanza 805 (di Bene) con relativo corridoio di accesso presso l’Hotel Hermitage a Roma.

Il film, come lo stesso Bene dichiara, è un banco di prova per il successivo e più ambizioso Nostra Signora dei Turchi, e tuttavia vi si può rintracciare già una profonda padronanza del linguaggio cinematrografico da parte dell’artista salentino. La storia alla base di Hermitage, per quanto si possa parlare di storia in senso stretto in Bene, è quella di un uomo in una stanza di albergo che compie delle azioni in una dimensione tra il reale e l’immaginario; ad un certo punto una donna bussa alla sua porta pensando che sia un altro, e l’uomo le scriverà un biglietto che alla fine però non le consegnerà mai.

Carmelo Bene si aggira tra il bagno e il vano letto della stanza con una continua insofferenza, come se non trovasse pace in nessun luogo, in un’atmosfera quasi onirica. Il lavoro sul corpo e sul gesto è molto particolare, fatto di frantumazione e sospensione dell’azione, che l’attore importa direttamente dalla sua esperienza teatrale; in un continuo cambiamento di vestiario e di trucco, il tutto rimane nell’oblio dell’intenzione, non va a significare nulla, istituendo una visione incontestualizzabile che trova un corrispettivo nell’immagine cristallino di Deleuze. La stanza, al tempo stesso, è cupa e claustrofobica, e la solitudine dell’individuo all’interno della stanza non è presentata con letture psicologiche: è come se la persona stesse giocando con  il suo corpo, e gli oggetti che ha intorno corrono di fianco ai suoi pensieri. L’amore entra e esce di scena ciclicamente durante l’intera lunghezza dell’opera, prima nella citazione biblica, poi con le rose, quindi con l’infatuazione per la donna della stanza accanto, e infine con la comparsa dell’amore materno. La passione sembra farci muovere instancabili, e Bene allora chiude con un perentorio: “Basta è finita con chi mi vuole bene!”.

Come nella migliore tradizione beniana la voce è utilizzata in maniera particolare: il film è accompagnato prima dalla voce registrata extradiegetica dell’attore, a mo’ di narratore, e verso la fine è inserita in forma diegetica, ma sempre ricca di variazioni, rotture, sospensioni e suoni estranei. La musica di Vittorio Gelmetti è molto varia, e spazia da rumori a suoni elettronici, passando per la musica lirica e classica, e il tutto è spezzettato e con brusche sospensioni.

Hermitage in definitiva si pone sì come un esperimento, ma si tratta di un esperimento estremamente ben riuscito: i ritmi, le pause, le immagini, tutto trova il proprio spazio in un sistema pieno di ingranaggi ben oliati.

Il primo appuntamento della rassegna mensile su Carmelo Bene, annunciata lo scorso mese in omaggio alla sua scomparsa (16 marzo 2002), si conclude qui. Appuntamento al prossimo mese con Nostra Signora dei Turchi.

Scritto da Anna Silvestrini.

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