Tinariwen – Tassili. C’è bisogno di ritorno alla terra. La fisicità della terra, in questo caso la sabbia e le pietre di Tassili, valle nel sud dell’Algeria, e la terra come simbolo, come portatrice di significati.

Un discorso sulla terra che recuperi il senso di appartenenza, l’amore per i luoghi e per le persone, liberandolo dalla retorica reazionaria e sciovinista, dall’ottusità e dalla chiusura: questo dovrebbe essere punto di riferimento ideale per un Occidente che si allontana raramente da un ‘inespressionismo’ indifferente e dal soggettivismo esasperato, e quando lo fa è per abbandonarsi ad una visceralità scomposta e distruttiva.

In una parola: ‘asuf”. Per i tuareg è un sentimento a metà tra la malinconia, lo struggimento spirituale e il senso di libertà che si prova alla vista di un mondo ancora vergine. E’ un legame con le cose che non ha nulla di mediato, pretestuoso o artificioso; è semplicemente vita. E la musica dei Tinariwen ne è permeata fino al midollo, soprattutto in questo quinto album.

Nei suoi 11, splendidi brani Tassili abbandona le chitarre elettriche e recupera il gusto per le sonorità acustiche che rende ogni brano caldo, intimo e familiare. Si parte con Imidiwan ma tennam, blues trascinante e corale reso ancora più incisivo dalla chitarra di Nels Cline degli Wilco, uno dei brani che si mantiene più in continuità con le precedenti esperienze musicali.

Tenere Taqquim Tossam e Imidiwan Win Sahara virano verso sonorità più funky, con la voce di Tunde Adebimpe dei TV on The Radio a rendere ancora più accattivante il primo pezzo. Non mancano poi le ballate più dolci e raccolte come Walla IllaTameyawt, quest’ultimo con la musica che si fa ancora più intima e segreta, il canto arrochito e il respiro che emerge tra le frasi come un singhiozzo. E poi c’è il bellissimo brano finale, Iswegh Attay: un fuoco acceso, le mani che accarezzano la terra, un tè caldo.

Non serve lasciarsi andare a suggestioni primitiviste per sentire la verità, la profondità e la vita che scorre tra queste note. Potrebbe persino rianimare qualche coscienza intorpidita. Potrebbe persino convincere della vanità di tanta, pur ottimamente confezionata, indie music. Potrebbe. E speriamo che un giorno, effettivamente, possa.

Scritto da Barbara Nazzari.

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