Audio, Video, Disco, secondo e ultimo album dei Justice, duo francese electro-pop, finisce per stupire anche i fan più accaniti o, in alternativa, chi non si è mai degnato di ascoltarli. La cosa che mi colpisce maggiormente, già dai primissimi brani (Horsepower, la prima traccia) sono gli echi prog e rock anni ’70. Niente di curioso se stessimo parlando di una qualunque band scandinava di epic metal medievale: la cosa sconvolge se ci riferiamo ai Justice, appunto. Sono note di gusto Jethro Tull (esatto, proprio loro!), che mi ricordano molto alcuni pezzi della band scozzese nell’album Minstrel in the gallery (1975), peraltro già citato in “Musica in agguato“.

Il primo singolo Civilization, il cui video di lancio aveva incuriosito parecchio per le scene in computer grafica dei mufloni (o simili, scusate l’ignoranza e vedete voi in base alle vostre conoscenze in tema, n.d.a.) che si muovono in un ambiente spaziale e marziano, dove gravità e dinamismo si fondono vorticosamente. Un brano perfetto per il jogging, questo è certo, e comprovato.

Quindi il disco continua con Ohio, incalzante brano disco dal ritmo contagioso e snello: una cadenza ciclica che si spezza poi con sonorità alla Daft Punk, gruppo al quale il duo parigino, per gusti e onor di patria, deve in effetti molto. Ma basta proseguire di poco l’ascolto ed ecco che gli accenti medioevali che, ripeto, sono assolutamente spiazzanti per chi conosce il gruppo in questione, tornano alla grande con Canon, fondendo armonie tecnologiche ruvide con l’armonia iniziale ed equilibrata del canone classico di gusto epicheggiante. Una mossa che tende a fare il verso agli Yes dell’album Fragile (1971), nel quale era stata anche inserita un’armonia di Johannes Brahms (Cans and Brahms). Il carattere classico si fa disco-elettrico con sviluppi ancor più daftpunkiani, mi si passi il termine, e con accenti ripetuti e cambi di canale stereo destro/sinistro.

On’n’on invece, pur vedendo un simil-flauto stile Ian Anderson far capolino tra le sue righe, riprende invece i caratteri che hanno reso celebri i Justice con DVNO e D.A.N.C.E., loro cavalli di battaglia e veri e propri inni da disco: le sonorità sono tese a testimoniare una certa continuità stilistica con il loro precedente lavoro, della serie “non dimenticatevi che restiamo pur sempre quegli animali da club parigino che siamo sempre stati!”

Ma se pensate che le sorprese finiscano qui vi sbagliate, perché con Brianvision riescono a stupirci con chitarre stile Brian May, che dimostrano quali siano le (buonissime) fonti, anche rock, alle quali il duo attinge a piene mani, pur ricercando una propria evoluzione artistica indipendente. Cosa che, francamente, non ci si aspettava da un gruppo che in generale tende a riempire le discoteche di mezza Europa. Con Newlands si prendono addirittura lo sfizio di citare gli ACDC (per lo meno le chitarre iniziali li ricordano molto), fino ad arrivare ad Audio, dove le qualità più spiccatamente “justiciane” fanno la loro bella figura, richiamando comunque le atmosfere da AIR, altro importante gruppo electro-pop della scena francese più sperimentale. Il tutto si conclude con un ritorno ai ritmi più dance ed energici, quanto ben scanditi dai tipici loro sintetizzatori (e Mac) ben caldi.

Gaspard Augé e Xavier de Rosnay (in arte Justice), al loro secondo album stupiscono, mostrando il lato maggiormente sperimentale e curioso dell’elettronica francese.

E pensare che tutto era cominciato con un paio di remix giusti…



Scritto da Massimiliano Lollis.

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