Saideke Balai, in concorso a Venezia 68.

Wushe, Taiwan, 1930. Stanco delle angherie degli occupanti giapponesi, il valoroso condottiero Mouna Rudo unifica i numerosi clan tribali dell’isola in una sanguinosa rivolta anticoloniale.

Frutto di un enorme sforzo produttivo che vede coinvolto, nelle vesti di produttore, il grande cineasta hongkonghese John Woo, Saideke Balai – titolo traducibile come I guerrieri dell’arcobaleno, appellativo dei mitici guerrieri di etnia ayatal – è il più costoso film mai realizzato a Taiwan, un rutilante e fluviale kolossal storico intriso di nazionalismo e di misticismo.

Wei Te-Sheng, autore di punta del nuovo cinema taiwanese, ripropone in questo caso una formula già ampiamente utilizzata nel cinema occidentale (da Apocalypto a 300, fino ad Avatar) e orientale (I 13 assassini, in concorso al Lido l’anno scorso), e celebra l’eroismo e la determinazione di uomini selvaggi in lotta contro l’invasore straniero, senza però nasconderne la crudeltà e la ferocia usata nei confronti del nemico, in nome di alti ideali come la difesa della terra e delle tradizioni ancestrali.

Forte di un’ambientazione suggestiva – con paesaggi mozzafiato a fare da teatro alle sanguinose battaglie fra arroganti giapponesi e infoiati guerriglieri, predecessori ideali dei Vietcong – il film risente però di un’eccessiva enfasi registica, di un abuso del ralenti e degli effetti digitali, peraltro di fattura mediocre, cui fa da contraltare una narrazione zoppicante e dispersiva, che si perde in troppe sottostorie mal sviluppate. E se la caratterizzazione della maggioranza dei personaggi appare debole e approssimativa, al punto che risulta difficile identificarsi e appassionarsi alle loro gesta, il solo a possedere una statura epica e mitica è il capo tribù Mouna Rudo, interpretato dal veterano Lin Ching-Tai, guerriero valoroso quanto spietato, un po’ Leonida e un po’ Ho Chi Minh, disposto a sacrificare la propria vita e la propria umanità, su cui pesa la responsabilità di gesti atroci ma, nella terrificante logica della guerra, inevitabili.

Preceduto alla prima in Sala Grande da un folkloristico coro di ragazze locali, Saideke Balai è stato fortemente voluto alla Mostra dal sinologo Muller in sintonia con la sua passione per la cultura orientale, ma è stato accolto con scetticismo da gran parte della critica.

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Leonardo L.
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