Cenerentola è un film alla moda; non a caso fu proprio la versione di Charles Pierraut, noto frequentatore di corte ai tempi di Luigi XIV, che nel 1950 ispirò Walt Disney. Il cantastorie infatti rese la fiaba più raffinata e consona all’ambiente dell’epoca: le vere protagoniste della storia sono la nota scarpetta di cristallo e l’abito, colore del cielo, indossato da Cenerentola. Da più di sessant’anni  il film alimenta il culto dell’uomo perfetto e, nonostante il tempo, la fiaba rimane ancora oggi un must cinefilo/pedagogico dell’infanzia.

Sì, le generazioni si susseguono e nel frattempo  la Disney è arrivata al suo 50° lungometraggio animato, ma Cenerentola e la sua scarpetta non passano mai di moda e così da anni la fiaba propone degli stilemi oltremodo classici, ma che, nel bene o nel male, funzionano ancora oggi.

Cenerentola è la donna più idealizzata della storia: casalinga dedita alle pulizie aspetta il suo uomo e, sottomessa e bisognosa d’aiuto, obbidice agli ordini. La visione prolungata della pellicola può causare alle fanciulle di oggi la nota sindrome della mezzanotte la cui patologia consite nel culto di un paio di Manolo Blahnick e nella speranza di trovare il principe azzurro. Il primo caso nasce negli anni ’90 con l’arrivo di Carrie Bradshaw manifesto di una femminilità, fintamente attualizzata,  sempre alla ricerca dell’amor cortese (e delle scarpe giuste). E’ infatti il suo amato, e atteso, Big a chiederla in sposa attraverso il rituale della scarpetta in “Sex and the City – Il film”.

Sono personaggi femminili in attesa che il sogno diventi realtà o, più semplicemente, che un uomo le porti via su un cavallo bianco. Ma cosa sappiamo esattamente del principe? quasi nulla, il suo ruolo è relegato a un’immagine. Da questo punto di vista è curioso osservare come i numerosi e stereotipati riferimenti di genere del film suggeriscano una figura maschile forte, ma che poi nella realtà non corrisponde a tali aspettative. L’atteso principe azzurro infatti si limita a effettuare poco più di una comparsata; alla fine è grazie alla fata madrina se Cenerentola riuscirà ad andare al ballo (un barlume di femminismo?).

Al di là delle considerazioni di genere il valore artistico di Cenerentola è incontestabile: il film è entrato di diritto nell’immaginario popolare per la sua capacità di far sognare lo spettatore: “I sogni son desideri di felicità” è infatti un inno alla speranza; non a caso nel 1951 la pellicola si è aggiudicata l’orso d’oro al festival di Berlino come miglior film musicale. L’animazione rimane impressa nella memoria anche per l’ottima caratterizzazione dei personaggi secondari: dai topini Gas Gas e Jacques, fino al pestifero gatto Lucifero, passando per lo stravagante e anziano re. Il lungometraggio animato è, infine, notevolmente diretto da Clyde Gyronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson, i quali hanno scelto di donare alla pellicola un apprezzabile registro comico e, allo stesso tempo, non solo aggiungono un curioso sottotesto sexy, ma propongono anche un sapiente utilizzo della tensione attraverso riusciti virtuosismi di stile.

Curiosità sul doppiaggio

  • La voce della prima Cenerentola italiana Giuliana Maroni, considerata troppo squillante per il personaggio, venne sostituita nel 1967 dalla più melodica  Fiorella Betti.
  • La doppiatrice della versione originale Ilene Woods, invece, è deceduta il 1 luglio scorso e verrà quindi ricordata domenica 27 febbraio durante l’83° edizione degli academy awards.

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